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Questo articolo è stato pubblicato il 08 novembre 2012 alle ore 06:44.

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La crisi non tocca le macchine automatiche ma c'è, ed è pesante, nella metalmeccanica, dove sono molte le vittime rimaste a terra tra le 4.800 piccole imprese della via Emilia, che tra tornitura fresature, saldatura interagiscono con la filiera del packaging, pur non essendo specializzate. «Il settore meccanico è sotto del 25% rispetto alle performance pre-crisi – nota Claudio Pazzaglia, referente di Cna produzione Bologna – a differenza del brillante polo del packaging, salvato dalle percentuali bulgare di export e dalla resilienza di alimentare, farmaceutica e cosmetica per cui lavora». Sono 307 gli artigiani specializzati nella filiera del confezionamento, almeno altri 5mila gli addetti che vanno sommati a quelli dell'industria. Una galassia che non soffre perché il lavoro abbonda ma la cui fragile struttura (l'85% ha meno di 20 addetti) rischia di frantumarsi alle prime difficoltà o al primo passaggio generazionale. È per questo che i big player sono molto attenti nel salvaguardare il lavoro lungo la filiera, al punto che il colosso cooperativo del cluster, la Sacmi di Imola (quasi un miliardo e mezzo di fatturato tra packaging, che pesa un 20%, e macchine per ceramica), ha appena lanciato sperimentalmente assieme a Cna il progetto "Qualificazione fornitura". Obiettivo: migliorare l'efficienza e ridurre i costi dei fornitori, attraverso l'analisi dei processi interni, per creare un club della fornitura in cui diffondere competitività e cultura del miglioramento continuo. E sempre Sacmi – leader mondiale, con il 90% del mercato, nelle macchine per la produzione di tappi in metallo e plastica e un export vicino al 100% dei ricavi – ha dato vita con Ima alla prima alleanza tra mondo capitalistico e cooperativo, la newco Cmh, Carle&Montanari holding, specializzata in macchine per il cioccolato e prossima a chiudere il suo primo anno di attività poco sotto i 100 milioni di fatturato. «Un'alleanza che vogliamo allargare ad altri settori», prevede il dg Pietro Cassani, che nel roseo panorama della packaging valley avverte qualche timore per le nubi politiche, ma con forte impatto economico, addensatesi su Africa e Medio Oriente.
L'imperativo di fare massa critica attraverso alleanze e acquisizioni prende oggi il posto dell'inverso processo di "gemmazione", o spin-off, che vent'anni fa ha plasmato Pmi diventate leader di nicchia ai due estremi del globo. Come la Mc automations di Casalecchio di Reno (oggi al 51% di Acma-Coesia, vedi articolo a fianco), che dal suo piccolo controlla il 50% del mercato mondiale delle macchine per il confezionamento di cioccolatini: 30 dipendenti, 11 milioni di fatturato, tutta la produzione esternalizzata e che vende, dal Brasile all'Ucraina fino alla Nuova Zelanda, macchinari superspecializzati che incartano 800 cioccolatini al minuto (vent'anni fa ci si fermava a 300!). O la Imball di Sasso Marconi, imbattibile nelle scatole in fustellato, da quelle mignon per i mini-gelati Algida ai maxicartoni Ikea, tutto prodotto da terzisti e destinato al 90% ai mercati stranieri. O, ancora, la Tmc-Tissue machinary company di Matteo Gentili, figlio d'arte – la famiglia era nel settore con la Panigal, poi sono subentrati i tedeschi – che sul finire dello scorso Millennio ha messo insieme, partendo da Cadriano, un network di 200 dipendenti e 100 milioni di fatturato che imballa carta igienica, da cucina e tovaglioli accaparrandosi la metà del mercato mondiale. «La nostra vera ricchezza – rimarca Gentili, che ha esternalizzato tutte le fasi produttive – è la filiera di terzisti. Dobbiamo tutelarla perché è lì che si gioca la nostra gara competitiva con i tedeschi».

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