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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2012 alle ore 06:44.

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TARANTO
A poche ore dall'incontro (oggi a Roma) fra il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, e l'Ilva, arriva una nuova direttiva dei custodi che rischia di mettere ko il siderurgico. Adesso lo spegnimento di tutti gli impianti, dice l'Ilva, è molto vicino. I custodi, infatti, intervengono di nuovo sull'approvvigionamento delle materie prime, senza le quali il ciclo produttivo non va avanti, e dopo aver autorizzato lo scarico della nave Helen.N., stabiliscono che «non saranno rilasciate ulteriori autorizzazioni allo scarico per approvvigionamenti di materiali che comportino giacenze superiori ai quindici giorni e per quantativi superiori a 15mila tonnellate, salvo diverse disposizioni». Anche se i custodi dicono che questa situazione è già stata resa nota all'Ilva con una comunicazione dello scorso 28 ottobre, la direttiva – firmata da Emanuela Laterza, uno dei tre ingegneri responsabili delle aree sequestrate – è molto più stringente di quella di settembre che pure introdusse un primo freno all'arrivo di minerali di ferro e di carbon fossile allo stabilimento di Taranto.
Il doppio vincolo, 15mila tonnellate come quantativo massimo e 15 giorni come livello scorte, sono ritenuti dall'azienda un qualcosa che porterà inevitabilmente a spegnere tutti gli impianti nel giro di pochi giorni. L'Ilva parte da un dato: oggi lo stabilimento «brucia» 50mila tonnellate di materie prime al giorno e gli impianti, si afferma, viaggiano al minimo. Andare molto al di sotto di questo quantitativo non consente più di gestire la fabbrica. In proposito, l'Ilva ha fatto mettere a verbale dal custode Laterza, che nel sopralluogo era affiancato dai Carabinieri del Noe, «prevedibili fermate impiantistiche con conseguenze al momento non quantificabili». E anche se la Helen è stata autorizzata a scaricare, Vincenzo Dimastromatteo, responsabile di tutti gli altiforni, ha comunicato al custode (anche qui facendolo verbalizzare) che almeno un giorno prima del previsto arrivo della nave Gemma il 30 novembre, «se non intervengono altri fattori» l'Ilva si ritroverà con «giacenza zero» per almeno uno dei minerali che servono all'agglomerato («carajas»), che è l'area che prepara i materiali da caricare poi negli altiforni. A ciò si aggiungano i danni economici delle controstallie, legate ai tempi di attesa delle navi che non possono scaricare se prima non hanno l'ok dei custodi. Danni valutati solo per due navi in 526mila dollari.
Avendo sempre avuto la priorità di spegnere gli impianti per far cessare l'inquinamento, e avendo probabilmente ritenuto di non immediata applicabilità la soluzione delle imprese esterne anche per una questione di costi, i custodi – per rispettare il mandato dei pm – stavolta agiscono drasticamente a monte degli impianti stessi, facendo mancare gli approvvigionamenti.
In verità già a settembre avevano assunto una prima decisione in tal senso, limitando l'arrivo delle navi e quindi lo scarico delle materie prime. Obiettivo era soprattutto quello di tenere stoccati all'aperto quantitativi minori di carbon fossile e di minerali di ferro, in modo da contenere la diffusione delle polveri siderurgiche verso il vicino quartiere Tamburi e limitare così l'inquinamento. Non ci sono stati invece contraccolpi produttivi da questa misura. Nonostante il sequestro disposto dal gip a luglio senza facoltà d'uso, gli impianti hanno infatti continuato a produrre, anche se, rileva l'Ilva, a un livello minimo con 22mila tonnellate di ghisa al giorno. Adesso però lo scontro Ilva-custodi si è fatto più duro, nè l'Aia l'ha mitigato, visto che i custodi giudicano non adeguate alla situazione ambientale dell'Ilva le prescrizioni contenute nella stessa autorizzazione. È di questi giorni, difatti, l'orientamento dei custodi di chiedere all'Ilva anche lo spegnimento immediato, nel giro di uno-due mesi, dell'altoforno 5, il più grande d'Europa, e non solo dell'altoforno 1, che invece sarà spento dall'1 dicembre (anche il sopralluogo fatto dal custode Laterza ha confermato che le operazioni tecniche di fermata di quest'impianto sono in corso). La stretta sulle materie prime va quindi in questa direzione e l'Ilva l'ha accolta malissimo. Prova ne è che per la prima volta ha fatto mettere a verbale anche le pesanti conseguenze cui si andrà incontro. Quasi un preannuncio della situazione in arrivo. «Non è più questione di Aia – commentano in azienda –, ormai ci si vuol far chiudere e basta».
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