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Questo articolo è stato pubblicato il 15 novembre 2012 alle ore 06:45.

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di Paolo Bricco Il sistema delle piccole imprese non è (ancora) saltato in aria grazie a tre elementi. Il primo è l'esistenza dell'arcipelago, composito e differenziato, delle banche di credito cooperativo. Il secondo è la costante pressione esercitata (finora) dalle fondazioni azioniste sulle grandi banche, perché temperino l'egemonia del risk management quando si deve decidere se e come dare credito agli artigiani e ai piccoli industriali. Il terzo è il cordone sanitario stretto intorno a questi ultimi dai confidi.
Il problema è che queste tre architravi, poco alla volta, stanno cedendo. Il credito cooperativo, che fin dall'epoca delle fusioni bancarie ha avuto il ruolo di finanziare gli imprenditori trattati con superiorità o rifiutati dai grandi istituti, inizia a essere in difficoltà. Alla fondazioni, affamate di utili con cui sostenere le erogazioni e con cui non diluire le loro quote di capitale, può anche andare bene che le banche partecipate facciano i bilanci con il trading e non li deteriorino troppo finanziando in misura "eccessiva" attività produttive che potrebbero fare salire le sofferenze. Alla fine, il combinato disposto della tensione costante e crescente nel credito cooperativo e della strutturale ritrosia delle banche a dare liquidità alle famiglie produttrici, alle piccole e alle medie imprese, si scarica tutto sui confidi. Quando le cose andavano bene, i confidi fornivano le garanzie. Da quando le cose vanno male, i confidi si trovano a pagare per gli altri, fino a vedere erosa la propria capacità patrimoniale. Questo meccanismo fisiologico trova un parziale rimedio nei fondi di controgaranzia allestiti dai confidi stessi. Ma, quando i piccoli imprenditori iniziano a non pagare più in massa le rate dei prestiti alle banche e dunque i confidi si trovano a rispondere con le loro casse di queste insolvenze, l'impatto diventa molto duro.
I confidi hanno, in questi ultimi dieci anni, provato a ristrutturarsi. È diminuito il loro numero. Si è realizzato un processo di fusioni. Alcuni hanno sperimentato il brivido modernizzatore di diventare intermediari vigilati dalla Banca d'Italia.
A questo punto, però, di fronte alla violenza della crisi e al quadro contabile determinato da essa, serve un salto di qualità. Meglio fare a meno dei posti in cda in improbabili mini-confidi. Meglio smettere di erogare i gettoni di presenza ai consiglieri. Meglio una minore influenza campanilistica e municipalistica sulle dinamiche del credito. Meglio fare a meno di tutto questo, se poi i confidi possono ingrandirsi, diventare più efficienti e tornare ad avere la funzione fondamentale che hanno esercitato negli ultimi dieci anni.
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