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Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2012 alle ore 08:13.

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BOLOGNA
Dieci dipendenti, italiani e stranieri. Una palestra riadattata per accogliere un'officina. In previsione una mensa per gli operai e altre assunzioni. Nulla di strano se non fosse che le maestranze sono detenute nel carcere della Dozza di Bologna. E che l'azienda per la quale lavorano, una impresa sociale, ha sede proprio lì, dietro le sbarre.
Si chiama Fid, Fare Impresa in Dozza. Ed è nata dalla società creata da tre giganti della packaging valley bolognese, Marchesini Group, GD spa, Ima. Insieme generano un fatturato complessivo che sfiora gli 1,5 miliardi di euro e contano quasi 7mila dipendenti. Hanno coinvolto nell'operazione la Fondazione Aldini Valeriani, vale a dire la scuola che nel capoluogo emiliano sforna i tecnici di cui sono affamate le aziende. Una esperienza pilota in Italia, per ora la prima e unica. Con una ragione sociale che basta da sola a spiegarne la mission: «Esecuzione di lavori di carpenteria, assemblaggio e montaggio di componenti meccanici da eseguirsi all'interno della Casa circondariale di Bologna, con il fine di fornire ai detenuti una opportunità di lavoro stabile e duraturo, recuperabile nella vita successiva al compimento del periodo detentivo».
A presiedere l'impresa è stato chiamato Giorgio Italo Minguzzi, docente di diritto commerciale all'Alma Mater, avvocato, colui che ha avuto l'idea e poi ha trovato gli alleati nei vertici dei tre colossi bolognesi della meccanica e nella Fondazione Valeriani.
Non è stato semplice creare un'azienda nel carcere, conciliare la produzione con la sorveglianza. Ce l'hanno fatta dopo aver selezionato, seguendo solo il criterio delle attitudini, una decina di detenuti, che sono stati poi convogliati verso un corso di formazione, e affidati successivamente a una decina di tutor, ex dipendenti in pensione delle tre aziende del packaging che si alternano volontariamente, per rendersi utili. Contratto nazionale dei metalmeccanici a tempo indeterminato per tutti.
Altri 15 detenuti, a loro volta, sono in attesa di imboccare il percorso di formazione necessario. «Quando usciranno dal carcere – spiegano dal quartier generale di Marchesini Group – avranno competenze spendibili sul territorio. Per questo non abbiamo assunto ergastolani, vogliamo insegnare loro un mestiere per quando avranno scontato la pena». Un biglietto da visita per tutti, quando si apriranno le porte del carcere, anche per gli stranieri in regola con il permesso di soggiorno.
La direzione del penitenziario ha messo a disposizione la palestra dove sono stati installati i macchinari necessari alla lavorazione a all'assemblaggio del materiale. E ora il consiglio di amministrazione di Fid già pensa anche a una mensa interna per gli operai.
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L'IDENTIKIT

La denominazione
Per la nuova realtà produttiva i promotori hanno scelto l'acronimo Fid: Fare impresa in Dozza, nome del carcere di Bologna
I promotori
Ideatore il docente universitario Giorgio Italo Minguzzi, che ora è anche presidente di Fid, il quale ha coinvolto Marchesini Group, Gd Spa e Ima, tre colossi che insieme fatturano 1,5 miliardi. Con loro anche la Fondazione Valeriani
Gli addetti
Al momento sono dieci gli operai dell'azienda, assunti a tempo indeterminato con regolare contratto nazionale dei metalmeccanici. Altri 15 stanno seguendo il percorso di formazione

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