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Questo articolo è stato pubblicato il 22 novembre 2012 alle ore 06:44.

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MAZARA DEL VALLO (TP) - L'ufficiale di servizio nella centrale operativa della capitaneria di Porto di Mazara del Vallo segnala a video una bandierina tricolore al largo di Creta: è il Boccia II, un'imbarcazione mazarese, una delle tante che si è avventurata fin laggiù per trovare una zona di pesca libera da vincoli e ricca di pesci individuato grazie alla cosiddetta blue boat voluta dalla Ue.

È un tassello, seppur piccolo, di un grande puzzle che copre l'intero Mediterraneo e che ha un punto focale qui nel trapanese, in questa punta Sud della Sicilia, nella cittadina metà araba con la sua Medina e metà sicula, che si snoda attorno al fiume Mazaro il quale sfocia nel grande Porto canale, ormai interrato e quasi per nulla navigabile visto che non viene dragato da 35 anni. Qui, nel marzo del 2006, sulla base di un sistema locale di sviluppo già individuato negli anni dagli economisti e riproposto di volta in volta come unico esempio di possibile distretto è nato appunto il Distretto della pesca, il cui nocciolo fondante è il Cosvap (il Consorzio di valorizzazione del pescato che è nato invece nel 1989) di cui fanno parte istituzioni pubbliche e private.

All'interno del Cosvap si muove l'Osservatorio della pesca riconosciuto nel 2008 con legge dalla Regione siciliana che ogni anno sforna dati e numeri su un settore che in Sicilia contribuisce per quasi un miliardo al valore aggiunto se si considera anche la trasformazione. Il patto di distretto, utile alla fondazione di una struttura che oggi si caratterizza sempre di più per una sua attività internazionale da metadistretto del Mediterraneo anche grazie al Forum, è la certificazione di un'alleanza tra le associazioni di categoria, le imprese, le istituzioni, l'università, gli enti di ricerca. E tutti hanno contribuito a creare un modello che gli altri Paesi del Mediterraneo ci invidiano e vengono qui a visitare per poi mandarvi i loro ricercatori e studenti: per capire e scoprire il modello italiano di sviluppo della pesca.

Un dato, quest'ultimo, che il presidente del Distretto Giovanni Tumbiolo sottolinea con un certo orgoglio presentando i tre ricercatori algerini che qui sono venuti dopo una visita del loro ministro che ha dato in adozione al Distretto un porto del loro paese o preannunciando la prossima visita di altri ricercatori libici che qui staranno in settimana. La pesca è stata un mezzo di integrazione con l'ampia comunità tunisina che popola la casbah di Mazara dove vive la quasi totalità dei cittadini stranieri che rappresentano il 20% dei 51mila abitanti della cittadina trapanese, esempio di convivenza tra i popoli, che oggi ribolle di fronte a una crisi economica che colpisce anche duramente il settore in cui la manodopera araba è più utilizzata: quello della pesca appunto visto che la metà degli addetti è di origine magrebina.

È quasi un paradosso considerato che la gran parte dei problemi deriva proprio da quei popoli del Nord Africa: «I tunisini – spiega il comandante Alberto De Santi, che guida anche l'Associazione imprese pesca di Mazara aderente a Coldiretti – pescano con le reti a maglie strette che da noi sono vietate. Sono nostri concorrenti, ma noi abbiamo molte più limitazioni. Stiamo morendo asfissiati dalle regole dell'Ue. Ci sono tanti paradossi: l'Italia spende soldi per proteggere le zone di pesca che i paesi del Nord Africa hanno spesso istituito unilateralmente. Il nostro paese spende soldi ma i nostri pescatori lì non possono andare». De Santi si fa portavoce di un sentire comune in quel di Mazara: la crisi della pesca nel Mediterraneo è irreversibile ed è da ricercare soprattutto nella politica europea che, nel tentativo di limitare lo sforzo di pesca, ha introdotto tante restrizioni da rendere difficile il lavoro dei pescherecci siciliani. E spesso i paesi del Nord Africa, che hanno imparato dai siciliani come si pesca e dove, si prendono le zone migliori: «Ci sono zone che sono più adatte alla pesca a strascico – spiega il comandante – e quelle zone le abbiamo coltivate, si dice così, noi e loro se ne sono appropriati. Se vogliamo fare ancora un paragone con i tunisini: hanno un vantaggio competitivo enorme. Da noi il costo del gasolio e i vincoli pesano per il 50% del costo complessivo».

Cosa sia oggi questo distretto (che comprende anche i poli di Sciacca, Porticello in provincia di Palermo, Trapani) è presto detto: un polo con oltre 1.144 occupati, secondo i dati riportati nel Patto di distretto del 2010, per un totale di 114 imprese cui si affiancano 21 enti (università, centri di ricerca, associazioni) cui nel frattempo però si sono aggiunte altre imprese e anche molto grandi. Gli incentivi alla demolizione delle imbarcazioni voluti dall'Ue hanno ridotto la flotta mazarese da 300 imbarcazioni a 100 di oggi: la perdita dei posti di lavoro dal 2005 al 2010 è stata di almeno 900 unità. Il limite del distretto (il cui fatturato complessivo si aggira sui 300 milioni con un fatturato medio per addetto di 261mila euro e un fatturato medio per azienda di 2,625 milioni mentre l'export si ferma a 44,9 milioni) rimane quello della dimensione delle imprese che ne fanno parte: solo un quarto ha più di 10 addetti.

C'è una trasformazione profonda, oltre alla disaffezione dei giovani per questo duro lavoro, che porterà il distretto a cambiare. Necessariamente. Cosa serve lo spiega l'economista palermitano Vincenzo Fazio: «Quattro punti sono essenziali – dice –. Il primo: l'ammodernamento delle imbarcazioni che consentirebbero di abbattere i costi considerato, per esempio, che oggi per ogni chilo di pescato è necessario un litro e mezzo di gasolio. Secondo: rafforzare la cooperazione internazionale. Terzo: incentivare il ricambio generazionale. Quarto: intervenire su infrastrutture e mercato». Tutte questioni che gli esperti del distretto stanno provando a tradurre in un Contratto di sviluppo il cui obiettivo è quello di portare il distretto verso nuovi approdi come quello della cosiddetta Blue economy del Mediterraneo. In questo contesto si inserisce il progetto del centro di certificazione e prova per la garanzia di un “marchio Dop” per il Gambero di Sicilia per il quale è previsto un disciplinare. Ma anche la nanotecnologia applicata agli scafi, il dialogo tra finanza occidentale e islamica, l'archeologia subacquea innovativa. Sul piano culturale, spiega Tumbiolo, «il rispetto delle risorse, una maggiore sostenibilità in tutta l'area del Mediterraneo». Sulla carta è stata perimetrata una zona che dovrebbe diventare la Blue economic zone. Un tema che interessa e anche molto l'industria vera e propria. Cercano la qualità nelle materie prime. «La nostra esigenza – spiega Nino Carlino, amministratore dell'omonima azienda che ha sede a Sciacca – è quella di poter certificare che il nostro è prodotto proveniente dal Mediterraneo. È quella una garanzia che ci fa avere valore aggiunto sui mercati».

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