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Questo articolo è stato pubblicato il 23 novembre 2012 alle ore 09:33.
L'ultima modifica è del 27 novembre 2012 alle ore 09:34.

Quando le vedi "distese" lungo l'autostrada A11 che da Firenze porta al mare della Versilia, vicino all'uscita di Capannori, è difficile immaginare che quelle fabbriche fumanti in funzione 24 ore al giorno producano bobine pronte per essere trasformate in beni essenziali e universali, che usiamo tutti, tutti i giorni, per tutta la vita: carta igienica, fazzoletti e tovaglioli di carta, salviette e "rotoloni" asciugatutto.

Ed è ancor più difficile immaginare che qui, nella piana di Lucca e nella vallata della Garfagnana attraversate dal fiume Serchio, in poco più di trent'anni sia "esplosa" un'industria che oggi non ha rivali in Europa nella produzione di carta per uso igienico-sanitario, quella che gli addetti ai lavori chiamano tissue e che ha il grande vantaggio di essere poco legata all'andamento generale dei consumi e ai portafogli dei cittadini. Per coglierne l'importanza basta un solo dato: da quest'area arriva il 75% di tutto il tissue prodotto in Italia.

Dunque un distretto – che ha il secondo, importante pilastro produttivo nel cartone ondulato per imballaggi, e un'appendice strategica nella progettazione e costruzione di macchine per la carta tissue – che nel 2011 ha toccato, secondo le stime di Assindustria Lucca, il fatturato record di 3,85 miliardi di euro (+4%), senza contare la meccanica applicata alla carta che vale altri 500 milioni; un distretto che ha alle spalle un decennio di crescita interrotto solo nel 2009, che ha portato un fatturato aggiuntivo di mille milioni; e che poco assomiglia ai distretti industriali del resto della Toscana (e di gran parte d'Italia), perché qui le aziende non sono piccole e micro ma medie e grandi, e perché le imprese familiari come Sofidel, Cartiera Lucchese, Industrie Cartarie Tronchetti, Pieretti, Mondialcarta, Ondulati Giusti, convivono e competono con multinazionali svedesi (Sca Hygiene), inglesi (Ds Smith, che nell'estate scorsa ha acquisito la divisione packaging di Sca) e anglo-olandesi (Smurfit Kappa Packaging), e con gruppi familiari tedeschi come Wepa, unico caso di crisi rilevante aperta attualmente nell'area (nel 2008 ha acquisito la Kartogroup delle famiglie Dianda e Toccafondi, e ora ha problemi finanziari che la porteranno a una riorganizzazione produttiva e alla vendita di due cartiere).

Nel complesso il distretto della carta di Capannori conta oggi 100 aziende (erano 130 dieci anni fa) e 6.200 addetti diretti (invariati rispetto al 2001), che raddoppiano con l'indotto (e ai quali vanno aggiunti i 1.500 del comparto meccanico), per una produzione di 1 milione di tonnellate all'anno di tissue e poco meno di carta per imballaggi (40% della produzione nazionale). È stato proprio il tissue, negli ultimi anni, a tenere al riparo dai venti di crisi il distretto, compensando le battute d'arresto del cartone per imballaggi (che ha margini inferiori), legato a doppio filo alla congiuntura industriale.

«Negli ultimi cinque anni l'industria cartaria nazionale ha perso 1,7 milioni di tonnellate di produzione, ma il distretto di Capannori si è salvato perchè il tissue ha continuato a marciare», certifica Paolo Culicchi, presidente del comitato di distretto cartario di Capannori, oltre che leader di Assocarta. I risultati sono frutto di una strategia di crescita e di internazionalizzazione avviata da tempo dalle aziende lucchesi, che le ha portate ad aprire o rilevare fabbriche nei mercati strategici europei (dalla Francia alla Germania, dalla Gran Bretagna alla Spagna alla Polonia): i costi di trasporto del tissue (in gran parte su gomma) pesano infatti talmente tanto, che è antieconomico servire clienti lontani più di qualche centinaio di chilometri (e infatti l'export del distretto si mantiene tradizionalmente al 20%, diretto in Francia e Germania). È così che fazzoletti, tovaglioli e carta igienica acquistati in Italia hanno la ragionevole certezza di essere made in Italy, semplicemente perché sul mercato (o, meglio, al supermercato) non si trovano prodotti concorrenti provenienti da altri paesi.

Qui la concorrenza si fa "in casa", tra produttori vicini di stabilimento, a colpi di innovazione tecnologica e di promozioni commerciali tra marchi come Regina, Foxy, Perla, Tenderly, Tutto, Tempo, oltre che tra le private label della grande distribuzione, prodotte sempre nel distretto. E le quote di mercato si conquistano, sempre più, a suon di acquisizioni, come quella messa a segno dalla Cartiera Lucchese della famiglia Pasquini, che un anno fa ha comprato le attività italiane della multinazionale Georgia Pacific, salendo così a 450 milioni di fatturato consolidato e 1.400 dipendenti; o come quella di Sofidel delle famiglie Lazzareschi e Stefani, secondo gruppo europeo nel tissue alle spalle della svedese Sca, con 25 fabbriche in 12 Paesi europei, un milione di tonnellate di capacità produttiva, 1.456 milioni di euro di fatturato 2011 e più di 4.400 dipendenti, che ha appena varcato l'oceano con l'acquisto dell'americana Cellynne Paper Manufacturer, decretando la nascita della prima vera multinazionale italiana del tissue.

In questo quadro dominato da aziende internazionali, qual è dunque il futuro per il distretto lucchese? «Sono convinta che la concentrazione, che questo distretto ha già affrontato, sarà d'aiuto per la crescita dei prossimi anni», dice Cristina Galeotti, titolare della Cartografica Galeotti di Capannori, azienda di packaging e veline facciali, 36 milioni di fatturato 2012 per il 70% all'export e una crescita media del 17% nell'ultimo triennio. «L'altra strada imboccata dal distretto, e destinata ad acquistare importanza in futuro – aggiunge Galeotti, che è anche presidente degli industriali lucchesi – è quella della ecosostenibilità, che abbraccia sia la riduzione dei consumi idrici che la produzione di energia da cogenerazione (molte aziende hanno realizzato un impianto proprio), che il riutilizzo di carta da macero, che per la produzione di ondulato ha raggiunto il 100%».

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