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Questo articolo è stato pubblicato il 14 dicembre 2012 alle ore 11:05.

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Il Brasile non ha i numeri della Cina, ma una migliore distribuzione di ricchezza, una strutturata qualità del mercato interno e una democrazia di tipo europeo con ampie prospettive di welfare.

Il mercato interno è la sfida: 192 milioni di abitanti, un'età media di 20 anni e una classe media cresciuta di oltre il 60% (dai 65,9 milioni del 2003 ai previsti 118 nel 2014). Tutto ciò, unito al basso indice di disoccupazione e alla crescita dei salariati nell'industria, consente ai consumi brasiliani di essere in controtendenza.

Per sostenere il consumo il Governo ha eliminato o ridotto l'imposta sui "prodotti industrializzati" della cosiddetta fascia bianca (elettrodomestici) e su altri beni, come la carta sintetica per libri e periodici (la carta comune è già fiscalmente esente per incentivare la cultura). Sono state eliminate due imposte sociali federali (Pis e Cofins) su pasta, farina di grano e pane bianco.

Le condizioni di accesso al mercato brasiliano rendono difficile l'esportazione (imposizione tributaria divisa tra federazione, stati e comuni, dazi e dogane): è molto più vantaggioso – ed economico – installare una linea di produzione o di mero assemblaggio.

L'eccezionale panorama macroeconomico va tuttavia incrociato con regole e barriere che possono rendere problematica la distribuzione di brand esteri.

Va distinta la delocalizzazione dell'impresa che fa distribuzione rispetto ai prodotti da distribuire. Nel primo caso la "new co." va costituita privilegiando logistica, centralità economica e pianificazione tributaria (in Brasile vige una "guerra fiscale" tra singoli Stati sull'imposta sulla "circolazione di merci e servizi", ovvero la nostra Iva).

Quanto ai prodotti, diverso è il regime dei beni finiti inviati in Brasile rispetto ai semilavorati assemblabili in loco. Nel primo caso, se il bene non è già classificato secondo i parametri del Mercosul dovrà essere certificato da appositi enti ("Inmetro" per la maggior parte e "Anvisa" per alimentari, medicinali e affini).

È, comunque, basilare scegliere Stato e porto di arrivo con annesso regime doganale e fiscale. Ad esempio, in via approssimativa, importare a Santa Catarina un prodotto del valore di 100mila dollari (Cif pari a 102.251 dollari includendo valore della fattura commerciale, costo del trasporto e assicurazione internazionale) comporta imposte progressive (ciascuna applicata al valore originario sommata l'imposta precedente) per un valore di 76.907 dollari e costi doganali (costi portuali, custodia, etc.) di 5.913 dollari per un valore al consumo di 185.072 dollari.

Il prodotto assemblato in Brasile, invece, è considerato tendenzialmente made in Brazil, e non è soggetto alla procedura doganale. In ogni caso è fondamentale investire valutando caso per caso e per tipologie di prodotti con l'ausilio di esperti, pubblici e privati.

Carbone & Vincenzi Consulting

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