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Questo articolo è stato pubblicato il 14 dicembre 2012 alle ore 06:44.

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PIOMBINO (LI)
Il Consiglio di amministrazione sarà convocato molto presto: lunedì o al massimo martedì. C'è chi giura che gli amministratori possano riunirsi già oggi. Quello che pare certo è che per il gruppo Lucchini sia arrivato il momento di decidere una volta per tutte sul futuro, e l'unica ipotesi percorribile, a questo punto, resta quella del commissariamento e del ricorso all'amministrazione straordinaria. Come e in che termini lo chiarirà il Cda che chiamerà a decidere, con tutta probabilità, anche l'assemblea dei soci, vale a dire il pool di banche (Unicredit, Intesa Sanpaolo, Popolare di Milano, Bnp Paribas, Creberg, Cassa di risparmio di Firenze, Centrobanca, Banco Popolare, Natixis, Bnl) che vantano circa 600 milioni di euro di credito nei confronti del gruppo, ormai solo formalmente di proprietà dei russi di Severstal.
La proposta di Klesch, l'unica manifestazione di interesse giunta in queste settimane sul tavolo dell'advisor Rothschild, è tramontata. Una proposta di acquisto vera e propria, per la verità, pare non sia mai stata formulata. Semmai, si è trattato di una serie di condizioni richieste dagli svizzeri per procedere all'operazione di acquisto. Richieste respinte dalle banche, o comunque non giudicate percorribili.
Secondo fonti vicine al tavolo di trattativa, gli svizzeri sarebbero stati disposti ad accollarsi il 25% del debito (circa 200 milioni di euro), con l'impegno però a restituire i soldi senza interessi e solo quando l'azienda avrebbe prodotto utili. Le distanze principali tra le parti sarebbero emerse soprattutto di fronte alla richiesta di Klesch di rilevare solo i laminatoi del gruppo, lasciando al cedente la gestione degli impianti a caldo (e di conseguenza anche gli addetti). Un investimento in un nuovo impianto richiede almeno trentasei mesi di tempo: in attesa di realizzare il forno elettrico, questa la proposta degli svizzeri, Klesch avrebbe dovuto potere comprare i semiprodotti da altoforno a prezzo di mercato, lasciando in questo modo le perdite (oggi il gruppo lascia sul terreno tra i 10 e i 15 milioni al mese) alle banche. Altre richieste degli svizzeri riguardavano infine i terreni intorno al sito di Piombino e la garanzia di omologhe per le forniture di prodotti alle Ferrovie dello Stato. Inoltre per procedere ad un investimento sul forno elettrico Klesch avrebbe chiesto la possibilità di accedere a contributi statali.
Altro elemento di frizione tra le parti potrebbe essere stato, come confermano fonti sindacali, l'atteggiamento delle istituzioni locali, da sempre manifestamente contrarie ad un investimento in un forno elettrico (e il conseguente abbandono dell'area a caldo, che dà lavoro ad un migliaio di lavoratori). Il fondo avrebbe comunicato la volontà di investire solo a fronte di un'adeguata coesione delle parti sociali ed istituzionali coinvolte. I sindacati locali, a questo punto, si aspettano la nomina di un commissario già martedì: lo stesso sottosegretario allo Sviluppo economico, Claudio De Vincenti, ha ribadito nei giorni scorsi la necessità che le decisioni sul futuro dell'azienda vengano prese dal Cda «in tempi strettissimi, poiché il protrarsi di una situazione di incertezza rende ancor più difficile il futuro dello stabilimento e dell'intero gruppo».
«Si chiude un capitolo, e se ne apre uno nuovo, denso di incognite – spiega il segretario della Fiom di Livorno, Luciano Gabrielli –. L'unica possibilità, ora, è rappresentata dal commissariamento». L'altoforno di Piombino al momento è fermo per un mese e per 1.400 dipendenti si deve far ricorso alle ferie forzate e ai contratti di solidarietà. «Gli ordini ci sono – aggiunge Gabrielli –, ma mancano le materie prime. C'è la possibilità di ripartire già all'inizio dell'anno prossimo, quando arriveranno le prime navi, in anticipo rispetto alla data dell'11 gennaio decisa dall'azienda».
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