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Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2012 alle ore 08:36.

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TARANTO - Con decine di Tir incolonnati, hanno attraversato le strade che dalla portineria D del siderurgico arrivano alla stazione. Non hanno invaso il centro perchè sono rimasti alla periferia della città, ma qualche contraccolpo sul traffico c'è comunque stato. Su ciascun mezzo, in bella evidenza, un manifesto: «Autotrasportatori indotto Ilva. Anche noi amiamo i nostri figli. Vogliamo la salute, vogliamo il lavoro. Sì al decreto salva Taranto».

Ci sono anche gli autotrasportatori nella bufera che da mesi investe la fabbrica dell'acciaio e ieri hanno effettuato un'iniziativa di protesta, prima radunandosi in assemblea all'esterno dello stabilimento e poi muovendosi in corteo. Cinquecento microimprese con circa 600 dipendenti sono alle corde. «Non stiamo più lavorando da un mese» dicono. I camionisti trasportano coils e lamiere, ma la fermata degli impianti dell'area a freddo, prima per la crisi di mercato, poi per il sequestro dei prodotti finiti e dei semilavorati confermato dal gip, ora rischia di far saltare quest'attività dell'indotto Ilva. «Viviamo a Taranto, siamo tarantini, e la tutela dell'ambiente e della salute sta a cuore a noi allo stesso modo di quanti sabato sera hanno attraversato la città in corteo - dice Vladimiro Pulpo, che parla a nome dei trasportatori -. Noi, però, siamo convinti che salute e lavoro si possano e si debbano tenere insieme. Quindi diciamo sì al risanamento ambientale dell'Ilva, ma vogliamo anche che la fabbrica non si fermi. Dalla chiusura deriverebbe un impoverimento generale e non solo di chi lavora nell'Ilva o con l'Ilva».

Sono a favore del decreto legge i trasportatori e lo dicono chiaramente, decreto che oggi approda in aula alla Camera per affrontare il rush finale. Il provvedimento del Governo pone due punti fermi: autorizza la continuità produttiva dell'Ilva, obbligandola ad attuare tutte le prescrizioni impiantistiche e ambientali dell'Aia, e consente la commercializzazione dei materiali di cui la magistratura nei giorni scorsi ha confermato il sequestro perchè prodotti prima del 3 dicembre, ovvero prima che il decreto venisse pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale». Allo sblocco di queste merci (un milione e 700mila tonnellate, un miliardo di euro di valore) è legato il lavoro di tanti: anzitutto dei 1.428 dipendenti dell'area a freddo che l'Ilva ha messo in cassa integrazione in deroga sino al 31 gennaio scorso; poi dei 2.500 addetti che lavorano negli altri siti dell'Ilva fra Italia ed estero; e infine dell'indotto, ovvero di chi trasporta o lavora ulteriormente quanto oggi non si può toccare perchè sottoposto ai sigilli giudiziari.

Intuibile, quindi, l'attenzione con cui a Taranto come a Genova i lavoratori dell'Ilva seguano le sorti del decreto la cui approvazione dovrebbe essere certa visto il largo consenso politico esistente. E in vista dell'approvazione del provvedimento ieri il sindaco di Taranto, Ezio Stefàno, ha scritto al premier Mario Monti chiedendo che «al primo posto nella "legge per Taranto” vi sia la lotta all'inquinamento ed il diritto alla salute e che, quindi, comprenda in maniera prioritaria la valutazione del danno sanitario». Stefàno fa riferimento alla manifestazione di sabato sera a Taranto (oltre diecimila persone), sottolinea le preoccupazioni della città ed evidenzia: «Vogliamo sapere quali sono le condizioni attuali di inquinamento, per poter valutare, nei prossimi mesi, gli effetti positivi degli interventi che sono stati programmati nell'Aia».

Sempre ieri i tecnici dell'Ispra, che il ministero dell'Ambiente ha incaricato del monitoraggio dell'Aia, hanno effettuato un sopralluogo nel siderurgico e oggi incontreranno l'azienda per esaminare il piano operativo connesso alla stessa Autorizzazione ambientale.

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