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Questo articolo è stato pubblicato il 02 gennaio 2013 alle ore 16:14.

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Sarebbe l'accordo del secolo. Unione europea e Stati Uniti rappresentano, insieme, metà del Pil mondiale e quasi un terzo dei flussi commerciali globali. Le relazioni economiche tra le due regioni sono le più ricche in assoluto, con oltre 1,8 miliardi di euro di beni e servizi scambiati ogni giorno (702,6 miliardi nei 12 mesi del 2011).

L'un per l'altro, Ue e Usa, rappresentano il primo partner commerciale: il 13,8% di tutti gli scambi dell'Unione avvengono con gli Stati Uniti, che a loro volta realizzano il 17,8% del loro commercio con i Ventisette. Lo stock degli investimenti bilaterali, nel 2011, ha raggiunto quota 2.394 miliardi di euro.
L'accordo del secolo, vale a dire il trattato bilaterale di libero scambio tra Bruxelles e Washington, ha però sulla strada ostacoli altissimi. Secondo la stampa statunitense, la Casa Bianca sarebbe più disposta rispetto al passato a fare sul serio. Le barriere tariffarie non sono un problema, essendo già molto basse, in media sotto al 3%, secondo Bruxelles. Le barriere non tariffarie rappresentano al contrario una sorta di campo minato.

La Casa Bianca vuole che l'Europa apra il suo mercato all'export alimentare delle aziende statunitensi, sperando di convincere il Vecchio continente ad abbandonare le contestate restrizioni sulla produzione e commercializzazione di prodotti agricoli geneticamente modificati. Non sarà facile però superare le resistenze dell'Europa, che ha la legislazione più restrittiva al mondo sugli Ogm, riflesso della sfiducia diffusa nell'opinione pubblica nei confronti di queste tecnologie. Se a livello comunitario sono arrivate alcune aperture, con l'affermazione che le colture geneticamente modificate non rappresentano una minaccia alla salute, i Governi nazionali si rifiutano di autorizzarle, con appena due eccezioni, il mais della Monsanto e la patata della Basf. Lo stesso commissario Ue al Commercio, Karel De Gucht, grande sponsor dell'operazione, ha più volte avvisato le sue controparti che su questo fronte sarebbe meglio non coltivare troppe aspettative. Un accordo commerciale con gli Stati Uniti dovrebbe passare dal vaglio dell'Europarlamento e dei Governi dei Ventisette, dove ogni apertura sugli Ogm finirebbe sotto un pesante fuoco di sbarramento. Con la Commissione già pesantemente criticata per l'accordo di libero scambio in arrivo con il Giappone e per quello in vigore dall'anno scorso con la Corea del Sud.

Altrettanto complesso sarebbe poi allentare le restrizioni sulla commercializzazione in Europa della carne prodotta negli Stati Uniti in allevamenti che utilizzano gli ormoni della crescita.
Da parte sua, una delle principali sfide per Bruxelles sarà superare le restrizioni all'acquisto di beni e servizi europei. E neanche questa partita sembra semplice. Perché in gran parte si tratta di decisioni prese non dal Governo federale a Washington, ma dai singoli Stati, che in alcuni casi hanno leggi che incentivano l'acquisto di prodotti made in America.
Nonostante gli scambi commerciali tra le due aree siano in flessione da anni, erosi dallo sviluppo del commercio con la Cina e i Paesi asiatici, secondo la Commissione Ue, l'accordo potrebbe far crescere il Pil dell'Unione dello 0,5% nel lungo termine, aggiungendo circa 120 miliardi di euro alla ricchezza prodotta dalla regione. Ogni tariffa rimossa, ha ricordato qualche settimana fa De Gucht, «si traduce in milioni di euro di risparmi per le imprese che potrebbero reinvestirli in nuove opportunità». L'integrazione tra le due economie ha già raggiunto un livello tale che un terzo degli scambi avviene all'interno della stessa multinazionale, tra società controllate.

Da oltre un anno Stati Uniti e Unione europea hanno dato vita a un gruppo di lavoro con il compito di tracciare la strada per raggiungere l'accordo. Le conclusioni di questo organismo bilaterale erano attese per fine 2012 e potrebbero arrivare nelle prossime settimane.

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