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Questo articolo è stato pubblicato il 02 gennaio 2013 alle ore 06:42.

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AREZZO
Un miliardo e cento di fatturato nel 2011, circa 1,7 miliardi nel 2012, con proiezione in ulteriore crescita negli anni a venire. La crisi resta fuori dai portoni blindati di Italpreziosi, azienda aretina nata nel 1984, grazie a quella che che l'azionista di maggioranza (70%), nonché fondatrice e amministratore unico, Ivana Ciabatti, definisce una vera e propria "rivoluzione" attuata negli ultimi 5 anni. «Non è stato facile, perché abbiamo ribaltato uno schema consolidato - spiega Ciabatti -. A partire dal 2005 ho capito che il mercato stava cambiando in modo irreversibile e che il futuro sarebbe stato nella produzione e nel commercio di oro da investimento oltre che nella più tradizionale produzione di gioielli».
Nonostante le difficoltà del settore, in effetti, la gioielleria "Made in Italy", resta una voce rilevante dell'export italiano: le 500 tonnellate di oro lavorato del 1998 sono un miraggio, ma il calo dei consumi di materia prima (sotto le 100 tonnellate nel 2011) non è figlio solo della crisi. La ricerca tecnologica, spinta dal rialzo del prezzo dell'oro e dai competitor internazionali, ha permesso di ridurre l'impiego di metallo prezioso e di utilizzare materie prime alternative.
In questo contesto, Italpreziosi ha rotto lo schema tradizionale trasformando le banche da fornitori di materia prima a clienti privilegiati, tanto che oltre 20 delle 29 tonnellate complessive di lingotti in oro prodotte nel 2011, hanno preso la via della Svizzera. Un successo che ha fatto di Italpreziosi uno dei maggiori gold dealer italiani, con 40 tonnellate di oro e 100 di argento negoziate nel 2012.
Non è casuale che, nonostante la crisi che ha interessato l'oreficeria nel periodo 2009-2011, il distretto aretino abbia visto triplicare il valore delle esportazioni di metalli preziosi, passate da 1,6 a 4,3 miliardi di euro, grazie alle performance dei banchi metalli, con Italpreziosi e la vicina Chimet a fare la parte del leone e un impatto considerevole (intorno al 60%) sull'export nazionale del settore. Nel 2012 Italpreziosi conta di trasformare circa 40 tonnellate di oro e i dati del primo quadrimestre confermano il trend previsto, che consentirà un nuovo raddoppio del giro di affari.
«Abbiamo girato il mondo e sofferto non poco per trovare i fornitori - chiarisce Ciabatti - perché il nostro codice etico prevede di non acquistare l'oro che non rispetti rigide norme di comportamento e solo dopo approfondite due diligence delle controparti, che sono tenute a rispettare precisi requisiti di onorabilità e professionalità, come previsto dalle norme italiane. In Papua Nuova Guinea abbiamo trovato le condizioni ideali per creare un insediamento ed è nata Italpreziosi South Pacific, ma il nostro oro arriva da almeno 3 continenti».
Per l'importazione e la raffinazione del prodotto è stata creata Goldlake Ip, in compartecipazione al 50% con Goldlake Italia - società della Gold Holding che fa capo alla famiglia Colaiacovo - la prima azienda al mondo a certificare la filiera dell'oro etico. Marginale, invece, la quota di metallo prezioso acquisita dai compro-oro italiani, che pure rappresentano una miniera di prima grandezza con le oltre 100 tonnellate di oro di raccolta stimate nel 2011.
«Il settore è cresciuto troppo velocemente - dice Ciabatti – e manca una regolamentazione efficace». Con circa 50 dipendenti tra Italia e Oceania, Italpreziosi è pronta a proseguire nella sua crescita e vuole aprire altri impianti produttivi in Sud America, con l'obiettivo di ampliare l'approvvigionamento di materie prime. «In Italia – conclude – ancora l'acquisto di oro da investimento da parte dei privati è marginale, ma in Germania nel 2011 si sono vendute a privati 159 tonnellate di oro. È arrivato il momento di far decollare il mercato interno al quale finora abbiamo dedicato minore attenzione».
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NUMERI IN CRESCITA

1,7 miliardi
Fatturato
Il giro d'affari di Italpreziosi, nel 2012, ha toccato quota 1,7 miliardi con un balzo rispetto agli 1,1 miliardi del 2011, grazie soprattutto alla vendita di oro da investimento: un fenomeno che ha trasformato le banche da tradizionali fornitrici di materia prima a clienti privilegiati dell'azienda aretina.
40 tonnellate
Oro negoziato
A cui si aggiungono 100 tonnellate di argento: una parte rilevante di questo metallo lavorato, ha preso la via della Svizzera, spingendo l'export del distretto e dell'intero settore, di cui il polo manifatturiero toscano dove operano altre realtà importanti, come Chimet, rappresenta ormai il 60% a livello nazionale.

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