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Questo articolo è stato pubblicato il 04 gennaio 2013 alle ore 06:44.

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VERONA - Le colombe pasquali cuociono nei forni della Dal Colle, a Colognola ai Colli: sono destinate ai mercati dell'Australia e del Canada, dovranno fare 45 giorni di nave, per questo vengono impastate e preparate prima di quelle che arriveranno sulle tavole italiane. Qui, e nelle altre aziende del dolciario veronese, l'atmosfera natalizia è passata da un pezzo, e già si guarda alla prossima ricorrenza.

In provincia si concentra il 70% della produzione nazionale; un settore che impiega circa 3mila persone, con punte altissime di stagionali (circa 2.500), e – attendendo il bilancio del Natale appena strascorso – nel 2011 un fatturato che sfiorava i 500 milioni. Molti i grandi marchi, che spesso coincidono con aziende familiari con un passato e una tradizione che supera il secolo.
La data chiave è il 1894, quando Domenico Melegatti inventa la forma, il nome e la ricetta del pandoro, che quattro anni dopo, intuendone le potenzialità, registra con un "attestato di privativa industriale" rilasciato dal Regno d'Italia, ministero dell'Agricoltura, industria e commercio. Un pasticcere alchimista, alla cui inventiva si devono fra l'altro i primi tentativi di dadi da brodo – "caramelle di carne", nei suoi diari – abbandonati fino a quando altri li riproposero, facendo fortuna. Il risultato non era considerato soddisfacente, almeno non tanto quanto quello di quel dolce che indusse Melegatti a sfidare tutti i pasticceri del territorio, in una gara pubblicizzata dal giornale della città, l'Arena. «Nessuno riuscì a imitare il suo dolce, nè ad aggiudicarsi il premio – racconta Emanuela Perazzoli, presidente e amministratore delegato dell'azienda, che oggi impiega un'ottantina di dipendenti fissi, arrivando nelle campagne natalizia e pasquale a 400 stagionali – Per 50 anni quella sorta di brevetto ha protetto la ricetta, poi la validità è decaduta e in molti si sono messi a produrre il pandoro».

Da quando è stata fondata, l'azienda ha attraversato due guerre mondiali e più di una traversia, interna ed esterna, «proprio come un organismo vivente. Ed è ancora nelle mani dei discendenti e dei loro familiari», racconta l'amministratore delegato. Morto Melegatti senza eredi diretti, il lavoro fu portato avanti da una nipote, sposata al capo pasticcere di quel primo laboratorio. Un'unione fortunata come quella ricetta che nel 2005 per decreto è diventata un vero e proprio disciplinare, che stabilisce ingredienti e percentuali. Solo burro e uova fresche, niente strutto o margarina: «Questo ha certo protetto la qualità – osserva Perazzoli – ma in qualche modo ha anche posto molti limiti alla creatività: si sarebbe potuto tentare un pandoro senza burro, con l'olio, ad esempio».
Di certo, a lievitare in modo lento ma costante è l'export dei dolci veronesi da ricorrenza: «Ad un certo punto abbiamo capito che un pandoro sulla tavola degli italiani arrivava sempre, impossibile spingere oltre: allora, meglio guardare a nuove destinazioni – prosegue Perazzoli –. Nel 2008 Melegatti praticamente non esportava, nel giro di quattro anni siamo al 10% e ora abbiamo strutturato un canale di vendite ad hoc: la cosa curiosa è che i maggiori segnali di incoraggiamento li abbiamo al di fuori dell'Europa, ad esempio dal Giappone, ma anche da Sudafrica e Australia». E come si conviene nell'era dei social network, @Melegatti1894 incassa su Twitter incassa le lodi dei consumatori più lontani come Ana Sofia («hola soy de Venezuela adoro el paneton»).

Un'ancora di salvezza, l'export, ora che i consumi italiani tendono, inesorabilemnte, al ribasso. Alla Dal Colle, le vendite estere sono cresciute dal 10% dello scorso anno al 17%: «Questo ci ha consentito di mantenere i volumi, nonostante la flessione del mercato interno, e anche di preventivare una crescita del fatturato nel 2012 (36 milioni l'ultimo risultato, ndr)», dice Beatrice Dal Colle, quarta generazione, con il fratello Alvise, nell'azienda guidata dal padre e fondata dal nonno nel 1894. Insieme all'export, l'altro ingrediente sul quale si spinge è l'innovazione di prodotto: «Siamo in 72 dipendenti fissi, con punte stagionali di 200: lavorare solo per le campagne festive non consente di creare una vera squadra, di programmare e investire in ricerca e cultura aziendale. Per questo non smettiamo mai di rinnovarci: nuove farciture nei prodotti tradizionali, ma anche linee di merendine e prodotti continuativi che ormai valgono la metà del nostro giro d'affari».
E nonostante sia un Paese segnato dalla crisi, è la Spagna il mercato che riserva le maggiori soddisfazioni: «È ancora presto per pensare a linee di prodotti dedicate a intercertarre i gusti di determinati consumatori; all'estero c'è chi cerca prodotti più leggeri o, paradossalmente, più ricchi di grassi, chi predilige il cioccolato e chi le confetture. Ma il 2013 potrebbe vedere il lancio di nuovi prodotti pensati direttamente per l'export», fa capire Beatrice Dal Colle.

E il futuro? Nei mesi scorsi l'Economist ha lanciato l'allarme sulla possibile "fine dell'era del cibo a basso prezzo, dovuta all'aumento della popolazione e ad una tecnologia che non accresce la resa dei campi", con riferimento anche alla materia prima grano. «Il consumatore acquista di meno e consuma di meno, gli scontrini emessi dagli esercizi sono tanti con pochi generi acquistati, non più come una volta che si lavorava su grandi volumi – è la risposta di Michele Bauli, presidente della Sezione alimentare di Confindustria Verona e ai vertici dell'azienda familiare cresciuta negli anni anche grazie alle acquisizioni (tre anni fa lo storico marchio Motta Alemagna dalla svizzera Nestlé, fino alla recente trattativa per i biscotti Bistefani) – Oggi le aziende italiane hanno problemi di diminuita redditività a causa dei maggiori costi sulle materie prime, e minori ricavi per la difficoltà di gestire enormi volumi non aumentando i prezzi». In questo scenario, l'articolo 62 sui pagamenti contenuto nel Decreto liberalizzazioni e intitolato “Disciplina delle relazioni commerciali in materia di prodotti agricoli e agroalimentari” aumenta la problematicità del settore: «Il provvedimento è monitorato da Confindustria per un esame approfondito di tutti gli impegnativi risvolti della sua applicazione. Finora è emersa la forte preoccupazione per una burocrazia farraginosa che ostacola ogni tipo di attività rendendo molto faticoso per le aziende il costante adeguamento al mercato», conclude Bauli.

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