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Questo articolo è stato pubblicato il 07 gennaio 2013 alle ore 22:56.

C'è una nuova "i" pronta per i Brics, che potrebbero diventare presto Briics: l'Indonesia che secondo la gran parte degli analisti è il Paese emergente più promettemte del 2013. Perché l'Indonesia?
Risponde Giulio Del Magro, chief economist della Sace: «Si tratta di una conferma, è un Paese con una crescita media negli ultimi anni molto sostenuta (si veda nei grafici accanto, ndr), che ha visto l'anno scorso anche il riconoscimento delle agenzie di rating (Fitcht e Moody's l'hanno valutata rispettivamente BBB e Baa3, inoltre il paese ha beneficiato di due upgrade dell'Ocse). Ha una grande ricchezza di risorse naturali: carbone, gas, petrolio, minerali tra cui nichel, rame e oro, senza contare le materie prime dell'agricoltura, come l'olio di palma e il cacao. Ma è importante notare che non si tratta di un Paese legato mani e piedi all'export: è la domanda interna, piuttosto, a fare da traino all'economia». Secondo le stime dell'Eiu, i consumi privati rappresentavano il 53,2% del Pil nel 2012, quello pubblico il 9,1%. A questi punti di forza si aggiunge un debito pubblico basso, inferiore al 24%, «che consentirebbe al Paese – rileva Del Magro – anche politiche economiche espansive se si presentasse appunto la necessità di spingere l'economia».
«Non so se l'Indonesia sarà proprio il Paese numero uno degli emergenti nel 2013 – dice Pier Carlo Padoan, capo economista dell'Ocse –, ma certo sta facendo grandi progressi sia in tema di riforme sia di governance, soprattutto come lotta alla corruzione e sforzo di redistribuzione del reddito affrontando la piaga dei sussidi ai carburanti che finiscono poi per andare nelle tasche di chi è già ricco. È un Paese che ha conquistato la democrazia da poco, ma che ha saputo anche consolidarla. Oltre a questo, ricordo che è luogo di investimenti, che sottrae anche alla Cina». Gli investimenti diretti esteri l'anno scorso, in base alle stime Fmi, sono ammontati a 21,4 miliardi di dollari, ma saranno forse cifre da correggere al rialzo, perché l'andamento del terzo trimestre 2012, da poco rilevato, registra un balzo del 22% in più rispetto al corrispondente periodo del 2011.
«L'Indonesia è una "CinIndia" – afferma Paolo Guerrieri, ordinario di economia internazionale all'Università La Sapienza di Roma e docente al Collegio d'Europa di Bruges – ha cioè una base manifatturiera di prim'ordine, ma anche una prima batteria di servizi interessante. Ha anche meno punti di debolezza della prima Cina». Due punti di forza del Paese, spiega Stefano Manzocchi, docente di economia internazionale alla Luiss «sono un mercato interno importante, un basso debito e una scarsa dipendenza dall'export. Su questi due punti l'Indonesia è avvantaggiata anche rispetto, per esempio, a un Paese promettente come la Turchia, che è molto dipendente da una Ue ancora in difficoltà e che nel 2013 risentirà ancora della crisi siriana».
Le imprese italiane, conclude Del Magro «stanno cominciando ora ad affacciarsi in Indonesia. Sono presenti Eni, Pirelli, Perfetti. Siamo inoltre il terzo esportatore europeo dopo Francia e Germania. Sace è coinvolta in attività di impiantistica di acciaierie, l'interscambio è raddoppiato. L'Indonesia è ancora molto carente nelle infrastrutture, ha bisogno soprattutto dei nostri macchinari. Per i beni di consumo, bisognerà aspettare ancora qualche anno».
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