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Questo articolo è stato pubblicato il 09 gennaio 2013 alle ore 09:06.

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NEW YORK - Per la Corporate America è una manna da 80 miliardi di dollari l'anno. Non arriva dal cielo, ma da terrene capitali statali e municipalità grandi e piccole. Dalla rete di 1.800 programmi gestiti dagli enti locali, che fanno a gara tra loro per attirare aziende e sviluppo mettendo a disposizione edifici, regalando servizi, pagando costi di qualificazione della manodopera e cancellando imposte locali. Una manna che sta nutrendo sempre più anche il fenomeno del reshoring, del rimpatrio di attività dall'estero.

Il duello degli aiuti si sta trasformando in uno scontro a tutto campo ora che alla crisi ha fatto seguito una debole ripresa, con società timide negli investimenti. Nonostante budget locali sotto pressione, gli incentivi piovono sui settori più diversi, dal manifatturiero a internet. In cifre assolute, censite dal New York Times, il re è il Texas, con ben 19 miliardi l'anno. Misurati in incentivi per residente, però, ha buona concorrenza: è battuto da Alaska (991 dollari a testa), West Virginia e Nebraska. L'Oklahoma investe un terzo del budget annuale e il Maine quasi un quinto. E ogni anno nascono o vengono ampliati su scala nazionale una quarantina di crediti d'imposta.

Gli sgravi fiscali la fanno da padrone: 18 miliardi in tagli delle tasse sul reddito e 52 miliardi in riduzioni delle imposte sulle vendite. Ma regioni a corto di risorse stanno sperimentando anche formule innovative: dal "giardino economico", ideato in Colorado e adottato in grande stile dalla Florida, per concentrare stimoli sulle imprese locali. Fino a crediti mirati alle assunzioni (il Quality Jobs in Arizona) e al Peak program del Kansas, che premia i rimpatri.

Stati e città non disdegnano metodi estremi pur di competere. Il South Carolina ha staccato alla Boeing un assegno da 218 milioni, tutto finanziato con il debito. Il Kansas ha pagato 36 milioni perché il colosso delle sale cinematografiche Amc Entertainment, ora controllato dai cinesi di Wanda, spostasse la sede di pochi chilometri, al di qua del confine del Missouri, tagliando al contempo la spesa per l'istruzione di 104 milioni. New York spende ogni anno in aiuti alle produzioni hollywoodiane l'equivalente dell'assunzione di cinquemila insegnanti.

Anche le imprese ricorrono a tattiche aggressive per aprire le porte degli aiuti. Nike ha minacciato di traslocare dall'Oregon e ottenuto dal governatore, e dal parlamento riunito in sessione straordinaria, l'impegno a mantenere sgravi fiscali invariati per almeno 30 anni in cambio di 500 assunzioni e 150 milioni di investimenti. Twitter ha ricevuto 22 milioni da San Francisco per non spostare altrove il quartier generale.
Beneficiari sono soprattutto i gruppi manifatturieri: oltre 25 miliardi l'anno pompati in società automobilistiche come aerospaziali spiegano in parte – con il calo del costo del lavoro e il boom dell'energia – la reindustrializzazione del Paese.

General Motors ha il record con 1,77 miliardi da 208 programmi in 16 Stati. General Electric ha strappato 381 milioni da 21 Stati, Boeing 338 da 11 Stati e Caterpillar quasi 200 milioni da 17 Stati. A ruota ci sono le aziende agricole seguite da compagnie petrolifere e minerarie. Quindi il cinema e un settore d'avanguardia che fino a qualche tempo fa snobbava gli incentivi come obsoleti: l'hi-tech. Twitter non è un caso isolato. Apple ha ottenuto 119 milioni da tre Stati, più dei 100 milioni che ha promesso di investire negli Usa per riportare dall'Asia la produzione di un modello di pc. Amazon ha intascato 348 milioni, Microsoft 312.
Con una posta in gioco così alta, però, aumentano anche i rischi e se ne sono accorti gli Stati, che studiano giri di vite nella governance. Il centro di ricerca Pew ha trovato che su 16 leggi per gli incentivi esaminate solo quattro oggi contengono rigorose stime e controlli.

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