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Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2013 alle ore 08:15.

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La vicenda del rigassificatore di Trieste si complica: dopo la Via supplementare decisa dal ministero dell'Ambiente che rischia di allungare ulteriormente i tempi autorizzativi del progetto, ora giunge a sorpresa la notizia che il Comitato portuale di Trieste affossa «l'ecomostro di Zaule» perché l'opera non è compatibile con le previsioni di sviluppo dello scalo giuliano. L'infrastruttura dovrebbe infatti insistere su un terreno in parte demaniale e in parte di proprietà dell'Autorità portuale. Ancora una volta il groviglio degli interessi locali, dei veti incrociati, della difesa del proprio orticello a discapito dell'interesse collettivo (in questo caso nazionale) hanno il potere di bloccare un investimento strategico. È l'emblema dell'Italia prigioniera della burocrazia e delle lotte di campanile, che di certo non fanno rima con modernità e sviluppo.
Riassumiamo. Comune e Provincia di Trieste sono contrari alla realizzazione di un'infrastruttura per la rigassificazione del gas naturale liquido, assieme ai movimenti ambientalisti, alla maggioranza dei partiti e ai comitati cittadini. Il rigassificatore di Trieste però è stato difeso dal ministro dello Sviluppo uscente, Corrado Passera. E ne sostiene la strategicità per il rilancio dell'economia nel territorio la Confindustria di Trieste, mentre il governatore Renzo Tondo fin qui non ha preso una posizione definitiva. Intanto le proteste di piazza salgono di tono. Nel mirino c'è la Regione ma anche l'azienda promotrice del progetto, la spagnola Gas Natural, che ha annunciato un investimento da 500 milioni. E che ora potrebbe decidere di gettare la spugna. Contro il rigassificatore si è andato formando un fronte ampio e variegato, che va dal Movimento Cinque Stelle a Sel, passando per la Lega e il Pd. E che comprende anche Wwf, Italia Nostra e il Movimento Trieste libera. E ora, in ultimo, anche il Comitato portuale. Il nodo da sciogliere è sempre quello: da una parte le istanze dell'economia, più aggressive e spregiudicate causa crisi, e dall'altra quelle dei cittadini, sempre più sensibili alla difesa dell'ambiente. Con gli spazi di mediazione tra le diverse posizioni ridotte al lumicino.
E anche a Taranto, con il caso dell'Ilva, stiamo assistendo da mesi a una dura battaglia dove sono in gioco due diritti inviolabili: il diritto al lavoro e il diritto alla salute. Con il Governo impegnato a trovare un delicatissima mediazione che consenta all'azienda di continuare a produrre avviando, in contemporanea, gli interventi per il risanamento ambientale del sito siderurgico.
Trieste e Taranto, profondo Nord e profondo Sud, idealmente uniscono l'Italia nella ricerca di un nuovo modello di politica industriale. Un modello che dovrà consentirci di competere ad armi pari su mercati globali. Superando i localismi di ogni tipo e colore e rimettendo l'industria al centro dell'agenda del Paese: perché le imprese (comprese Gas Natural e Ilva) sono il vero motore in grado di costruire lavoro, progresso e sviluppo.
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