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Questo articolo è stato pubblicato il 24 gennaio 2013 alle ore 12:58.

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Ilva di Genova, tra gli operai regna la rassegnazioneIlva di Genova, tra gli operai regna la rassegnazione

Rassegnazione e preoccupazione, sintetizzate nel vivere (e lavorare) alla giornata. Sono i sentimenti che emergono tra gli operai dell'Ilva di Genova, riunitisi stamattina nell'officina meccanica centrale dello stabilimento di Cornigliano, per celebrare il ricordo di Guido Rossa, il sindacalista dell'Italsider (ora Ilva) ucciso dalle Brigate Rosse il 24 gennaio 1979. La fabbrica genovese rischia di chiudere, al pari di quelle di Novi Ligure e Racconigi, se non si sbloccherà la situazione dei coils sequestrati dalla magistratura sulle banchine di Taranto. Senza la vendita di quel materiale, dice l'azienda, non ci sarebbero i soldi per le buste paga di febbraio.

Ricordando Rossa, il sindaco di Genova, Marco Doria, sottolinea che, in lui, "c'era la consapevolezza del ruolo che gli operai avevano in questo Paese". Un ruolo che oggi è messo a dura prova anche dal conflitto scatenatosi tra magistratura di Taranto (che ha sequestrato l'acciaieria pugliese) e governo (che ha scritto una legge per dissequestrarla), i cui effetti rischiano di riversarsi proprio sugli operai. "Non vedo motivo, anche sotto il profilo giuridico – afferma Doria – per cui del materiale, ormai lavorato e prodotto, non possa essere utilizzato. Si rischia di creare un enorme danno economico all'azienda ma anche al Paese". E il parlamentare del Pd Mario Tullo sostiene che l'azione del governo "deve essere sostenuta nel percorso che porta a una serie di interventi pubblici e privati per uscire dallo stallo. Se l'azienda chiudesse, infatti, il costo della bonifica rimarrebbe solo sulle spalle dello Stato".

Al di là dei commenti politici, però, sono le parole degli operai a dare il metro del clima che si respira in fabbrica. "La situazione è difficile – afferma Stefano Messere, che lavora nel reparto di pulizia industriale ed è delegato della Fiom – perché si è arrivati al nono anno di ammortizzatori sociali e siamo di fronte a una situazione di mercato di forte competitività, con una concorrenza agguerrita. Come se non bastasse, si è innescata questa situazione. E' incomprensibile come un conflitto interno allo Stato arrivi a creare uno stallo che potrebbe portare alla chiusura dell'intero gruppo Ilva. Lo Stato dovrebbe dare una mano e invece fa da zavorra. E qui i lavoratori hanno un'età media di 40 anni e sono quasi tutti padri di famiglia".

Roberto (il cognome preferisce non dirlo), che lavora nell'officina meccanica aggiunge: "Viviamo giorno per giorno in maniera preoccupante, senza capire se c'è un futuro. Per ora il materiale da lavorare qui, a Novi e Racconigi arriva. Domani chi sa?". Carlo, altro lavoratore dell'officina, appare piuttosto rassegnato: "la magistratura – dice – fa il suo lavoro. Anche se il provvedimento adottato per i materiali già prodotti è singolare. Mi sembra, peraltro, che anche i Riva abbiano una strategia e non appaiano molto disposti a tirare fuori i soldi per bonificare. I clienti, intanto, stanno perdendo fiducia e la gente, in fabbrica, è rassegnata".

Anche Paolo che, come gli altri, presta servizio nell'officina, afferma: "Viviamo alla giornata e non sappiamo più di quello che leggiamo sui media. Si lavora male e si sente parlare sempre più spesso di cassa integrazione, oltre ai contratti di solidarietà che già sono in atto. D'altra parte vediamo che l'azienda sta comprando pochi ricambi per i macchinari. Limita gli acquisti in attesa di vedere, penso, come andrà la questione a Taranto".

La gente, testimonia Don Franco Molinari, cappellano di fabbrica, "è preoccupata e perplessa. Di sicuro, qui a Genova, l'azienda si è impegnata su salute, sicurezza ed ecologia. Ma questo stesso impegno non si vede a Taranto. Eppure è la medesima proprietà".
Il problema, conclude Franco Grondona, segretario della Fiom-Cgil di Genova, "sarà complesso se il 10 febbraio, come ha paventato il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, non ci saranno i soldi per distribuire le buste paga. Anche perché, in quel caso, l'azienda non sarebbe neppure in grado di anticipare i danari per la solidarietà o la cassa integrazione".

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