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Questo articolo è stato pubblicato il 25 gennaio 2013 alle ore 06:43.

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TARANTO
Si fa strada l'ipotesi che la Procura della Repubblica possa dissequestrare le merci Ilva e affidarne la vendita ad uno dei custodi giudiziari-amministratori nominati dal gip. Il ricavato della vendita, però, non andrebbe all'Ilva, nè servirebbe a finanziare il pagamento dei prossimi stipendi (servono 75 milioni di euro) e gli interventi per il risanamento ambientale del siderurgico, ma verrebbe «congelato» in un deposito sempre a disposizione dell'autorità giudiziaria, essendo coils e lamiere beni soggetti a confisca. L'ipotesi è allo studio e la sua applicazione è legata anche agli esiti di una perizia tecnica che dica alla Procura se la merce stoccata tra magazzini e piazzali dallo scorso 26 novembre è deteriorabile (come asserisce l'Ilva) o meno.
Altro punto da chiarire è poi il valore della stessa merce: l'Ilva dice che quel milione e 700mila tonnellate valgono un miliardo di euro («un sesto del fatturato dell'azienda» ha affermato l'altro ieri il presidente Bruno Ferrante), per la Procura, invece, si apprende da fonti giudiziarie, potrebbero valere meno, circa 600 milioni di euro.
Se la Procura decidesse di vendere le merci, affidandone il relativo incarico al custode-amministratore Mario Tagarelli (nominato dal gip Patrizia Todisco insieme ad altri tre custodi per il sequestro degli impianti dell'area a caldo), verrebbe sì incontro ai clienti dell'Ilva che quei beni hanno ordinato, ma non sposterebbe di un millimetro la situazione finanziaria aziendale. Che resterebbe pesante con gli stipendi a fortissimo rischio. D'altra parte nel vertice di ieri col ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, Ferrante è stato esplicito: quei soldi servono all'Ilva per generare altra liquidità visto che le banche hanno frenato sugli affidamenti all'azienda. L'Ilva oggi è un po' come un'auto col serbatoio a secco e che ha bisogno di carburante per ripartire. L'unica cosa che si otterrebbe dallo sblocco dei prodotti è che si libererebbero piazzali e magazzini. L'Ilva, che oggi dice di non avere aree in cui stoccare, avrebbe di nuovo i suoi spazi, e gli impianti dell'area a freddo - fermi da fine novembre - potrebbero essere rimessi in marcia, così come chiedono i sindacati. Se si sta studiando un dissequestro con le caratteristiche prima dette, sembrano quindi perdere attualità le ipotesi pure emerse l'altro ieri, ovvero la possibilità di trasferire il fermo delle merci su soluzioni alternative come il sequestro per equivalente o il deposito cauzionale.
Ieri, in una lunga nota, il procuratore capo di Taranto, Franco Sebastio, non ha chiuso la porta a una possibile evoluzione. «È possibile rivalutare, in tutto o in parte - scrive Sebastio -, eventuali questioni poi insorte», ma ci sono dei paletti da rispettare, «limiti» li definisce il procuratore che così spiega: «All'autorità giudiziaria non è consentita l'adozione di misure "di compromesso", magari anche comprensibili da diversi altri punti di vista, ma che non trovino il loro fondamento in specifiche disposizioni normative processuali e penali. Giova evidenziare - scrive ancora il procuratore - che, come ovvio e assodato, l'autorità giudiziaria può assumere le sue determinazioni solo ed esclusivamente nell'ambito delle vigenti disposizioni processual-penalistiche, mentre le è vietata una qualunque decisioni che dovesse basarsi invece su mere disposizioni di opportunità, anche di tipo sociale-economico, specialmente nel caso in cui tale determinazione potrebbe determinare una possibile decadenza (inammissibilità) della questione di legittimità costituzionale per essere venuta meno la rilevanza della questione stessa». Fermo restando questi «limiti», perciò, afferma il procuratore, «non ci si sta sottraendo» ad una possibile, nuova valutazione della vicenda, «così come evidenziato anche al signor ministro dell'Ambiente nel corso dell'incontro - sereno e, a tratti, anche cordiale - con lui avuto».
Al procuratore replica l'Ilva. «Il provvedimento di sequestro da parte della magistratura - dice l'azienda - ha natura meramente facoltativa così come l'eventuale confisca anche in caso di sussistenza dei reati contestati; l'esercizio del potere discrezionale da parte dei giudici di Taranto avrebbe consentito e consente quindi la valutazione di ogni elemento di opportunità dell'emissione del provvedimento. Andrebbe in primo luogo valutata ogni conseguenza sociale che ne deriva». E infine «sulle questioni di legittimità costituzionale proposte» dai giudici, l'Ilva parla di «manifesta infondatezza, posto che la tutela della salute è costituzionalmente demandata agli organi di Governo che con la decretazione d'urgenza ne ha tenuto conto, e non alla magistratura».
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