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Questo articolo è stato pubblicato il 28 gennaio 2013 alle ore 09:35.

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Un luogo favorevole al business. Come gli Usa, più degli Usa. Così può apparire il Texas alle imprese interessate a scalare il mercato americano, che resta, per molti versi, il più interessante del mondo. Uno Stato in espansione, che negli ultimi dieci anni ha creato più posti di lavoro di ogni altro Stato Usa, circa un milione. Houston, Dallas, S. Antonio e Austen, le città principali, sono in crescita. E sono molti i settori che potrebbero interessare le nostre aziende. Il manifatturiero tecnologico, in primis, con le sue 5.200 aziende che impiegano quasi 500mila lavoratori specializzati e oltre 400 imprese di sviluppo software. L'aerospaziale e aereo, con il Johnson space center, un complesso da 1,5 miliardi di dollari che ospita la Nasa: 150 le imprese coinvolte.

E ancora sono forti biotech, nanotech e medicina, con oltre 190 imprese, 75 ospedali e cliniche all'avanguardia e alcuni tra i migliori centri di ricerca americani. Poi l'energia: più di 3.500 aziende nel comparto, provenienti da tutto il pianeta: il cuore dell'industria petrolifera mondiale. Non trascurabile il comparto trasporti e logistica, per la posizione strategica sul Golfo del Messico, porta aperta sull'America latina. Senza contare le opportunità di esportazione, per l'Italia, dei prodotti tipici del made in Italy come vino, moda e prodotti dell'arredamento.

Ma non è il mero elenco dei settori chiave a descrivere le opportunità reali del Texas. «Muoversi qui è molto facile», spiega Brando Ballerini, Presidente e Ceo della Drillmec, società del gruppo Trevi, presente in Texas dal 1999, quando il gruppo acquisì un'azienda locale, la Branhan, attiva nel settore petrolifero. Il gruppo Trevi infatti opera nei grandi lavori e anche in quello degli impianti e attrezzature per trivellazioni petrolifere. Oggi in Texas ha uno stabilimento e impiega una settantina di persone. Non solo, ma attraverso la Drillmec veicola sul mercato americano e sudamericano gli impianti e macchinari che vengono costruiti in Italia.

«Qui la burocrazia è quasi inesistente – continua Brandolini – dal momento in cui abbiamo comprato il terreno per costruire il nuovo stabilimento a quello in cui abbiamo cominciato a produrre, sono passati solo 8-9 mesi. Inoltre in Texas bastano 1.500 dollari per mettere in piedi una società e questa facilità permette anche alle imprese di dimensioni minori di investire qui. Il carico complessivo di imposte è del 33-35%. Inoltre il mercato del lavoro è completamente libero. Questo ha vantaggi e svantaggi: il dipendente può essere licenziato senza problemi ma anche lui ha una mentalità tale da andarsene appena gli fanno un'offerta migliore e il turn over è elevatissimo, specie per i più bravi. Noi abbiamo cercato di "correggere" questo sistema garantendo ai nostri dipendenti che non li avremmo licenziati, salvo casi particolarmente problematici, e ora abbiamo uno dei turn over più bassi di tutta l'area».

I pagamenti dei fornitori a 30 (massimo 60) giorni, il basso costo dell'energia, un sistema di tassazione molto favorevole (ci sono solo le tasse federali, non quelle locali) sono altri punti di forza del Texas. «Anche il costo della vita qui è inferiore rispetto ad alcune città più famose degli Stati Uniti – rincara Luciano Topi, Chairman del Board della Camera di commercio italiana di Houston (la Camera è una delle presenze italiane più attive in Texas). – Una bella casa qui può costare 300mila dollari. Anche il costo del lavoro è più basso rispetto al resto degli States.

Certo questo non è un posto per imprenditori mordi e fuggi. Possono però avere chance anche aziende senza una specializzazione tecnologica particolarmente alta».
Il problema, per un'azienda italiana medio piccola è ancora una volta l'accesso al credito: la presenza della banche italiane è praticamente nulla e il sistema americano non consente a chi è appena arrivato un "punteggio" tale da avere una linea di credito rilevante a disposizione.

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