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Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2013 alle ore 06:44.

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MILANO
Nella tormentata vicenda giudiziaria sulle quote latte entra in campo anche la Corte dei conti, con una condanna da record per danno erariale a carico dell'ex senatore ed europarlamentare della Lega Giovanni Robusti e degli altri animatori dei «Cobas del latte». Con la sentenza 14/2013, la sezione giurisdizionale piemontese della magistratura contabile a chiesto a Robusti e soci di risarcire 203,2 milioni di euro per il mancato pagamento delle multe tra il 1998 e il 2006: la tegola più pesante è a carico proprio di Robusti, chiamato a versare in solido con altri imputati 182,4 milioni.
Alla base della condanna, sfociata in una cifra stellare per gli standard della magistratura contabile, c'è l'architettura societaria fondata sulle sei «Cooperative Savoia» e sulla «Finanziaria Giovanni Robusti» nata per dribblare le multe europee, e già al centro di una condanna a 4 anni e mezzo maturata l'estate scorsa dal leader degli allevatori ribelli lo scorso anno alla Corte d'Appello di Torino. La vicenda è al centro anche di una nuova indagine fra Torino e Milano, sfociata dieci giorni fa nelle perquisizioni alle sedi della Lega da parte della Guardia di Finanza alla ricerca di prove sull'esistenza di tangenti che avrebbero oliato il meccanismo della truffa (al momento non ci sono politici indagati).
Sulla condanna torinese pende un ricorso in Cassazione, ma l'assenza di un giudizio definitivo non ha fermato i magistrati contabili che anzi sono andati anche oltre i confini tracciati dalla magistratura penale. A Torino, infatti, 38 imputati avevano evitato la condanna per prescrizione, ma la nuova sentenza coinvolge anche gli anni 1998-2004 perché nel processo contabile la clessidra scorre non dalla scoperta del fatto ma dal momento in cui «esso assume una sua qualificazione giuridica»: in questo caso, la data chiave è quella del 26 luglio 2006, quando la Procura presso il Tribunale di Saluzzo ha chiesto il rinvio a giudizio degli imputati.
La partita, come accennato, è quella delle Cooperative di intermediari e della Finanziaria costruite da Robusti e dagli altri allevatori per non pagare le multe prodotte dallo sforamento delle quote latte. In pratica, secondo la legge gli allevatori avrebbero dovuto pagare ai «primi acquirenti» (tipicamente i caseifici) della produzione fuori quota un prelievo supplementare da girare ad Agea (l'agenzia per le erogazioni in agricoltura) ed Unione europea. Invece che ai caseifici, gli allevatori coinvolti vendevano il latte in eccesso alle cooperative, con la conseguenza che i caseifici non erano più «primi acquirenti» e quindi non dovevano chiedere il prelievo. Un complesso sistema di cessione incrociata di crediti fra la cooperativa e la finanziaria, poi, faceva in modo che il pagamento del prelievo risultasse solo sulla carta, lasciando in realtà nelle tasche degli allevatori il prezzo pieno della vendita di tutto il latte. Di qui la condanna torinese per che ha dipinto Robusti come promotore di «un'associazione per delinquere finalizzata alla truffa nei confronti degli enti pubblici».
Proprio il danno causato alle finanze pubbliche ha acceso i motori della Corte dei conti, che in questo caso ha condannato dei soggetti privati. Le cooperative, spiega la sentenza, erano soggetti privati, ma gli amministratori che le hanno costituite «si sono fatti scudo dello schermo societario» e «hanno offerto alla Pubblica amministrazione delle scatole vuote» con il risultato di impedire la riscossione delle "multe". La Pubblica amministrazione avrebbe infatti dovuto esercitare l'azione di recupero sulle Cooperative, che però non avevano riscosso un euro e quindi avrebbero portato un buco nell'acqua. Gli amministratori, quindi, sono i «reali autori delle condotte dannose per la finanza pubblica», e come tali sono soggetti alla giurisprudenza contabile.
@giannitrovati
gianni.trovati@ilsole24ore.com
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