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Questo articolo è stato pubblicato il 01 febbraio 2013 alle ore 09:21.

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La crescita ha il ritmo costante del passista. Le pedalate della Brompton hanno portato all'azienda londinese, leader nella produzione delle bici pieghevoli, uno sviluppo annuo di circa il 20% negli ultimi otto. «Significa raddoppiare il volume ogni 4-5 anni», spiega fiero alla France Presse l'amministratore delegato William Butler-Adams, ingegnere approdato lì in azienda dodici anni fa, quando la produzione era di 5mila bici. Nel 2012 la Brompton ne ha costruite invece 36mila, per un fatturato vicino ai 24 milioni di euro e un utile netto di due milioni.

Quella bici solida e che sa diventare molto compatta, che si piega al punto da poterla portare con sé in casa o in ufficio, sui mezzi pubblici, sul treno, nel baule dell'auto o come bagaglio in aereo. Quella bici sta conquistando fette di mercato sempre più ampie. Beninteso: guardando in prospettiva. Una Bompton costa in media 1.100 euro, ma può arrivare a 1.700 e oltre se per esempio ha sella in cuoio Brooks ed è firmata dall'artista inglese Vic Lee.

Il vantaggio è della "piega" è la comodità. Zero stress da catena rinforzata o da lucchetto di massima sicurezza. Si piega in avanti la ruota posteriore, poi all'interno quella anteriore, si abbassano manubrio e sellino, si fermano i pedali. Venti secondi e la bici ha le dimensioni di una borsa. E grazie al manubrio può anche esser trascinata come fosse un trolley. A seconda del modello e delle opzioni il peso varia dai 9 ai 12,5 chili. Ma su strada? Le ruote sono piccole, certo, però è il cambio (fino a sei velocità) a determinare lo sviluppo metrico, e sulla parte anteriore del telaio si può agganciare una borsa.

La storia risale al 1975. Andrew Ritchie, formazione da ingegnere, attuale direttore tecnico e primo azionista della società, comincia a disegnare la bici pieghevole in un appartamento con vista su Brompton Oratory (da qui il nome), chiesa del quartiere di South Kensigton. La Raleigh rifiuta il suo prototipo. Ritchie decide allora di produrre da sé, ma gli inizi non sono facili e impiega dieci anni a trovare finanziamenti stabili. Da allora sono state vendute circa 250mila Brompton e le strade si son riempite di emuli. «Esportiamo circa l'80% della produzione, in 42 mercati» dice Butler-Adams. Con il Giappone al primo posto, davanti ai Paesi Bassi. Le sirene della crescita a tutto spiano, accelerata, della delocalizzazione profittevole rimangono però inascoltate.

In Cina con il laboratorio per salvaguardare il marchio
Tutte le bici sono costruite a Londra, nella fabbrica di Brentford. «Sulla carta, si potrebbe pensare che andare in Cina risulterebbe meno caro, ma non sono sicuro che sarebbe il caso. Il motivo principale - spiega Butler-Adams - è la proprietà intellettuale». A settembre Brompton ha fatto ingresso nel mercato cinese, sul quale conta molto, e ha deciso di aprire una propria bottega a Shanghai, per controllare tutto ed evitare il "rischio" delle copie. Nel frattempo continua ad investire molto in ricerca e sviluppo, perché «il migliore marketing è concentrarsi sul prodotto». E sulla qualità, che è quasi un'ossessione: ogni piccolo dettaglio viene passato e ripassato in esame.

Il mercato italiano
Tanti costruttori di bici propongono oggi modelli pieghevoli. Nel 2012 in Italia se ne son venduti 15-20 mila, secondo le stime di Confindustria Ancma (Associazione nazionale ciclo motociclo e accessori). I numeri precisi non sono ancora disponibili (lo saranno a marzo), ma gli addetti segnalano un leggero incremento rispetto al 2011. Mentre più in generale, nel settore bici, ci si attende un calo in confronto ai mezzi (1.750.000) venduti nel 2011.

«Il problema è la scarsa sensibilità politica sul tema della mobilità a due ruote», lamenta Piero Nigrelli, direttore bicicletta e statistiche di Ancma. «Olanda e Danimarca ne hanno capito l'importanza quarant'anni fa. Francia, Germania e Inghilterra sono partite 10-15 anni fa, perché ne hanno scorto l'alta redditività. Come si è dimostrato al Velo-City, la conferenza mondiale sulla bici, ogni euro investito in infrastrutture ciclabili ne restituisce quattro-cinque: in termini di risparmio energetico, maggiore indotto per il turismo, riduzione della spesa sanitaria».

A proposito, nella patria della Brompton, il ministero dei Trasporti inglese ha annunciato pochi giorni fa un ulteriore stanziamento di 62 milioni di sterline per favorire la mobilità dei ciclisti: dalla segnaletica alle piste ciclabili, ai parcheggi.

Come spiegare intanto la continua diffusione della bici pieghevole? «È un prolungamento dei propri arti – afferma Nigrelli - un mezzo per rendere più veloci gli spostamenti dell'ultimo miglio, tra il treno o il metrò e la casa o l'ufficio. Non è come la Graziella, che si piegava in due e stava nel bagagliaio della 600, perfetta sintesi del paese che si industrializzava senza dimenticare le origini. Lì la bici rimaneva un mezzo da scampagnata. Oggi invece si tratta di un importante strumento di mobilità urbana. Poi certo ci sono pieghevoli e pieghevoli. La Brompton si compatta perfettamente, altre meno». La bici "made in London" è capostipite. Altri marchi si son messi in scia, e c'è anche chi propone dei modelli economici. Nessuno tiene però il passo della qualità Brompton.

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