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Questo articolo è stato pubblicato il 07 febbraio 2013 alle ore 10:59.

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Tra 10 anni l'import degli Stati Uniti raddoppierà, raggiungendo i 4,2 mila miliardi di dollari. Una opportunità che le aziende manifatturiere italiane non possono lasciarsi sfuggire. Ma bisognerà cambiare strategia, visto che la capacità di penetrare questo mercato si è indebolita: si è passati da una quota italiana sull'import Usa del 2,1% nel 2001 all'1,5% nel 2011. E se non si inverte la rotta nel 2021 arriveremo all'1,1%. A pesare è stata la dimensione ridotta delle ditte italiane, che con difficoltà riescono a organizzare attività distributive efficaci, in un paese che ha aspetti legali e societari molto complessi, con 50 giurisdizioni diverse nel 50 stati dell'unione.

Questi problemi sono stati ieri al centro del convegno Crescere nel mercato Usa: come vendere e radicarsi, organizzato nella sede romana di Unindustria, a cui hanno partecipato 50 aziende. Oggi ci sarà un analogo meeting a Milano in Assolombarda. «Nonostante il made in Italy sia da sempre molto apprezzato oltreoceano - ha detto Micaela Pallini, vicepresidente della Sezione Alimentare di Unindustria - non ha saputo ancora imporre il proprio prodotto, in particolare nel settore agro-alimentare, con un brand nazionale». Paolo Timoni, fondatore della startup americana Exagoga LLC Advisory bisogna puntare sull'aggregazione delle migliori piccole e medie imprese, con piattaforme distributive condivise e specializzate per settore. Per Fernando Napolitano, fondatore dell'Italian Business & Investment Initiative di New York, occorre «creare un ponte di business permanente tra Usa ed Italia». (An. Mari.)

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