Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 08 febbraio 2013 alle ore 06:44.

My24


BARI. Dal nostro inviato
La prima pietra del distretto tecnologico, sul finire dell'ottocento, fu posta inconsapevolmente da Pierre Ravanas, industriale oleario francese che nella prima metà dell'800 trapiantò a Bitonto nuovi torchi per la spremitura delle olive. Dopo una lunghissima pausa – l'economia come la storia procede a salti – che ci riporta agli inizi degli anni sessanta del novecento, a Bari c'è un fiorire di iniziative industriali e accademiche: nasce il centro ricerche Breda, il Csata diretto dal profeta dell'innovazione Aldo Romano, che poi si trasformerà in Tecnopolis. Un terreno fertile (al quale contribuisce il centro Laser, tuttora esistente) che negli anni '90 gemma quasi in contemporanea il Politecnico di Bari («de'remi facemmo ali» è il suo motto) e l'insediamento della Bosch, che con formidabile intuito compra dalla Fiat il brevetto del common rail, un iniettore di nuova generazione per l'alimentazione delle automobili diesel scoperto dai ricercatori Fiat, e rileva la fabbrica della casa automobilistica italiana in quel di Bari. Alla Bosch si affianca la tedesca Getrag, la multinazionale che produce e sviluppa cambi per l'industria automobilistica. I tedeschi sono felici di aver collocato le loro aziende a Bari. L'anno scorso Bosch ha annunciato che trasferirà dall'Austria a Bari la produzione di pompe a bassa pressione. Un modo implicito per sottolineare che ormai la Puglia è uno dei capisaldi della multinazionale tedesca. Alla quale, e qui veniamo alla genesi del distretto tecnologico, con l'andare del tempo si aggiungono realtà industriali autoctone: Mermec (locomotrici diagnostiche per le ferrovie), Masmec (robot meccanici e biomedicale) e Itel (Tlc, progettazione biomedicale e radio farmaci) sono le tre reginette che insieme alla Bosch, la Getrag, il Politecnico e l'università di Bari e il centro ricerche Fiat, hanno originato il Medis, il distretto della meccatronica. Solo che i distretti sono anche complicate costruzioni giuridiche con relative alchimie tra i soci di maggioranza, in questo caso pubblici, e quelli di minoranza. Per farla breve, il distretto nasce nel 2007 ma, per una serie di lungaggini burocratiche attribuibili al Miur, il ministero della Università e della ricerca scientifica, i quattrini – una quarantina di milioni di euro – per alimentare la ricerca in tandem tra imprese e università non sono ancora arrivati. Vito Albino, docente del Politecnico di Bari e coordinatore del distretto della meccatronica, lo dice in modo elegante: «Dobbiamo costruire una linea evolutiva del distretto». E qui si arriva al nodo tra diverse sensibilità culturali che in una compagine così assortita devono trovare una sintesi. Tra la visione aziendalista (tutta la ricerca deve ruotare attorno alle applicazioni industriali) e quella universitaria (si deve lasciare spazio anche alla ricerca pura, senza condizionare troppo i tempi e i modi della ricerca applicata) non è facile trovare i punti di sintesi. Dice l'economista Federico Pirro: «Il Medis dovrebbe dimostrarsi finalmente all'altezza dei centri tecnologici che l'hanno preceduto».
Aggiungiamo che per ovvi motivi di riservatezza le multinazionali come Bosch e Getrag, ma allo stesso modo anche le imprese baresi, non amano spiattellare le intuizioni o le idee che poi si tradurranno in progetti di sviluppo. Ecco perché le due multinazionali hanno scelto il ruolo di "osservatori" nei progetti di ricerca. Gli amministratori delegati di aziende così innovative i loro progetti li nascondono sotto il letto, è la frase che capita di sentire tra i protagonisti del distretto della meccatronica. Detta fuori dai denti, la questione si può riassumere così: ha senso ricercare il common rail di terza generazione oppure, alla luce del balzo della tecnologia ibrida, gli studi dovrebbero orientarsi in quella direzione? Belle domande, sorride il professor Albino. Un distretto tecnologico con un suo consiglio di amministrazione e le diverse sensibilità che lo compongono contiene anche questa sfida: un dialogo ininterrotto tra soggetti che hanno storie, culture e obiettivi differenti.
Ma è alle aziende che si deve tornare per non perdere di vista l'orizzonte strategico. La storia di Michele Vinci, neopresidente degli industriali di Bari, è esemplare. Manager alla Bridgestone e alla Nuovo Pignone, si mette in proprio per produrre attrezzature meccaniche. Passo dopo passo introduce elementi di elettronica nell'automotive. La collaborazione con il Politecnico e i centri di ricerca fanno il resto. Di innovazione in innovazione, Masmec vende alle case automobilistiche di tutto il mondo dei banchi di collaudo su misura che testano il funzionamento della frizione a secco per cambi sequenziali, iniettori o pompe idrauliche, solo per citarne alcune. Macchine sofisticatissime alle quali gli ingegneri che affiancano Vinci possono lavorare anche un anno di fila. La nuova frontiera è il biomedicale. Vinci ha brevettato una macchina che permette di realizzare le biopsie al polmone o la termoablazione incrociando le immagini della Tac con quelle di un video tridimensionale. L'imprenditore non ha mai smesso di investire in ricerca: il 20% dei suoi dipendenti sono concentrati sui nuovi progetti e la quota di export sfiora l'80 per cento.
Imprese sane, distretto sano? Una formula niente affatto scontata. Mario Ricco, vicepresidente del Medis, è un fisico che "progetta progetti", come ama presentarsi. Negli anni trascorsi al centro di ricerche Fiat diede un contributo fondamentale alla scoperta del common rail. Ricco spiega che le lungaggini nella erogazione di fondi dipendono dal fatto che la Puglia, insieme alla Calabria, la Campania e la Sicilia, è ricompresa all'interno delle Regioni di convergenza, quelle con il Pil inferiore alla media europea. Il fisico barese ironizza: «Trovare la sintesi tra università, centri di ricerca e imprese è come far andar d'accordo cani, gatti e topi». Forse la scommessa del Medis sta tutta qui.

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi