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Questo articolo è stato pubblicato il 20 febbraio 2013 alle ore 06:44.

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Lo scandalo europeo della carne di cavallo venduta come bovina, per ora, non comporta rischi per la sicurezza e la salute dei consumatori. Ma la gigantesca contraffazione che sta facendo dilagare l'allarme in tutta Europa, in l'Italia ha già fatto esplodere una serie di altri problemi. Problemi legati, da un lato, alla mancanza di una legge che consenta di evidenziare la presenza, o meno, di carni equine in alcuni prodotti preparati, come lasagne e tortellini, fiore all'occhiello dell'alimentare made in Italy; dall'altro, a un settore in crisi come quello dell'ippica che rischia di far entrare nella catena alimentare – in modo fraudolento – anche carni di cavalli non allevati per il consumo, ma per le corse sportive.
L'Italia, ricorda la Coldiretti, solo l'anno scorso ha importato quasi 30mila tonnellate di carni equine, a fronte di consumi per oltre 42mila, evidenziando un basso grado di autoapprovvigionamento.
Per l'organizzazione agricola, però, il piano di controlli con test del Dna decretato nei giorni scorsi dall'Unione europea «è fumo negli occhi dei cittadini, se non sarà accompagnato da misure strutturali destinate a durare nel tempo, come l'obbligo di indicare in etichetta la provenienza di tutti i tipi di alimenti».
Del resto, «lo scambio di carni all'insaputa dei consumatori è vietato dal decreto legislativo n. 109 del 1992». Ma lo scandalo «ripropone l'esigenza di una accelerazione dell'entrata in vigore di una legislazione più trasparente sull'etichettatura della carne e degli altri alimenti a livello comunitario». Attualmente l'obbligo è previsto per le carni bovine, di pollo e di tacchino, ma non per quelle suine, ovine, di coniglio e, appunto, di cavallo.
Una posizione condivisa anche dalla Cia, secondo la quale «i controlli decisi dalla Ue rappresentano una misura tampone allo scandalo, ma certo non risolvono il problema alla radice. E l'unica soluzione strutturale è l'etichettatura d'origine obbligatoria su tutti gli alimenti freschi e trasformati».
Per Confagricoltura, invece, «i consumatori si attendono garanzie immediate sui prodotti alimentari in vendita: dobbiamo dire loro che il sistema attuale dei controlli è assolutamente affidabile e sta portando risultati concreti».
A margine di questo problema, c'è però anche la crisi dell'ippica nazionale che sta mettendo a rischio, secondo una stima prudenziale, 15mila cavalli. Animali da trotto e da galoppo che potrebbero essere «rottamati» a breve, dopo che gli ippodromi hanno già drasticamente ridotto il numero delle corse. E qui il pericolo è che una parte di questi cavalli finisca al macello prefigurando una seconda possibile maxi-frode. Perché i cavalli, come spiega Rolando Manfredini, capo area per la Sicurezza alimentare e produttiva della Coldiretti, «vanno distinti in Dpa, ossia destinati alla produzione alimentare, e non Dpa. Quelli da corsa, in genere, appartengono a quest'ultima categoria: la loro identificazione deve essere scritta nello status anagrafico dell'animale. E si differenziano dagli altri perché non possono essere abbattuti e vanno inceneriti solo quando muoiono naturalmente. Se entrano nella catena alimentare viene commesso un illecito che va perseguito a norma di legge».

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