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Questo articolo è stato pubblicato il 07 marzo 2013 alle ore 11:00.

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«Chi possiede la casa ha un cuore fermo», dicono i cinesi con saggezza confuciana. Eppure, nelle residenze della crescente classe media e nelle ville della top class cucine, divani e armadi "made in Italy" stentano a diventare marchi diffusi e riconoscibili. E come dimostrano i dati di China Customs, tra gennaio e luglio 2012, se la quota di mercato dell'Italia sulle importazioni cinesi di arredamento è stata dell'8,1%, la Germania ha messo a segno il 18,14%, il Giappone il 15% e gli Usa l'8,5 per cento.

E non è solo dovuto al fatto che i nostri principali concorrenti esportino più mobili per ufficio, sistemi di illuminazione, o che nel computo rientrino i sedili per le auto Volkswagen.
Proprio per consentire alle aziende, per lo più medio-piccole dell'arredamento di gamma medio-alta, di incontrare la sete di design e brand dei ricchi cinesi nasce l'iniziativa "La Cina arreda italiano", un progetto ideato dall'Ice in collaborazione con FederlegnoArredo, Cosmit, Cna, Confartigianato e con il supporto di Triennale di Milano, Unioncamere e Regione Toscana per promuovere la penetrazione delle imprese italiane in Cina tramite forum, campagne di comunicazione, missioni economiche e fiere di settore.
«Per incrementare il numero delle aziende italiane del settore in Cina – ha spiegato il presidente di FederlegnoArredo, Roberto Snaidero – non basta coinvolgere i buyers e i distributori, ma dobbiamo aprire un dialogo anche con le riviste di settore, gli studi di architettura e progettazione, i designer locali. Insomma, con coloro che hanno la capacità di orientare il gusto dei cinesi verso l'arredo classico, moderno e contemporaneo italiano. Inoltre puntiamo a una presenza importante alla fiera di settore di Shanghai il prossimo anno».

Sinora, però, ha ricordato il direttore dell'Ice di Pechino, Antonino Laspina, «è mancata nel settore una strategia specifica per il mercato cinese. Poca presenza negli store multibrand, produzione limitata rispetto alla domanda potenziale a causa delle ridotte dimensioni delle nostre imprese, tempi lunghi di consegna che incidono sui prezzi. Siamo percepiti al top nell'arredo classico e nel design. Ma per i componenti hi-tech o altamente innovativi si guarda più al prodotto tedesco. Mentre tra i cinesi cresce l'attenzione alla qualità dei prodotti ecofriendly e al "su misura" dove l'Italia vanta eccellenze ma non riesce a comunicarle».
Secondo uno studio di Boston consulting group, sono 120 milioni i cittadini cinesi benestanti. Saranno 280 milioni entro il 2020. Nel 2012 la domanda di arredamento top class ha superato i 5 miliardi di dollari. Nei primi nove mesi del 2012, secondo l'Ice, l'export italiano di settore in Cina è stato pari a 146 milioni di euro (+2,1% rispetto allo stesso periodo del 2011). Mentre tra gennaio e settembre 2012 il totale export italiano del Sistema Casa è stato di 11 miliardi di euro.

«Per i cinesi la casa di proprietà è il primo obiettivo quando si inizia a lavorare – ha spiegato Huang Lan, chief editor di China Real Estate Magazine – e si tende a comprarne una sempre più grande man mano che migliora il proprio status. Senza accumulare i mobili, che in genere vengono riacquistati. Per i ricchi, ville da 400 mq a 6mila euro al metro quadro circa possono richiedere dai 600 ai 1200 euro al metro quadro per essere arredate». Un consiglio agli imprenditori italiani? «Fatevi vedere in Cina – sottolinea Huang – mostrate la faccia ai distributori, ai contractors, aprite showroom anche aggregandovi in italian store multimarca e creando partnership con la nostra Camera di commercio immobiliare (Crea)». Una sfida che coinvolge anche i designer. Per l'architetto Joseph Di Pasquale anche i cinesi «cercano la trasposizione contemporanea della propria tradizione millenaria».

«In assenza di punti vendita per comprare una poltrona o un divano italiano il cinese deve averne testato il comfort almeno una volta – suggerisce JC Ning, publisher di Domus China –. Perché non arredare in stile italiano le tante Vip lounge di aeroporti e stazioni dell'alta velocità, oggi allestite per i propri clienti top class da banche e assicurazioni? Nei prossimi 8 anni saranno costruiti 52 nuovi aeroporti, ristrutturati altri 100 così come le stazioni di Pechino e altre 5 megalopoli».

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