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Questo articolo è stato pubblicato il 07 marzo 2013 alle ore 11:00.

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Il mastodontico programma di urbanizzazione che la Cina sta per lanciare (si veda Il Sole 24 Ore di martedì) avrà un impatto economico globale. Alla fine del decennio la Cina potrebbe diventare la locomotiva dello sviluppo globale, e chi è agganciato più saldamente a questa locomotiva correrà più in fretta.

In maniera concreta poi, nei dieci anni previsti dal piano, inevitabilmente, almeno una piccola parte dei 5mila miliardi di euro, quasi tre volte il Prodotto interno lordo italiano, che Pechino sta per stanziare finirà per alimentare gli scambi internazionali.
Se anche solo il 10% dello stanziamento finisce in nuove importazioni dall'Europa, si può pensare che forse circa la metà andrà alla Germania, la quale già oggi da sola copre circa il 50% dell'interscambio europeo con la Cina. Il restante 5%, cioè 250 miliardi di euro in dieci anni, andrà distribuito tra gli altri Paesi.
Il problema per Roma oggi è o dovrebbe essere: quanto di queste commesse arriveranno all'Italia? E poi: come fare per ottenere commesse e forniture per 50 miliardi dalla Cina, cioè appena l'1% di questo maxi-piano? L'obiettivo è realistico, visto l'interesse di principio di Pechino verso Roma, ma non è per niente certo.
Il piano sarà lanciato a giorni e in effetti l'Italia dovrebbe cominciare già adesso a muoversi perché ne va della sua crescita oggi e nel prossimo decennio. In teoria l'Italia avrebbe da offrire molto al riguardo. Si tratta di aiutare a riorganizzare il sistema finanziario statale con emissioni di buoni del Tesoro che poi sarebbero acquistati da banche e assicurazioni, rendite stabili e a lungo termine.
Si tratta di progettare espansioni di città e riorganizzazioni urbanistiche, questioni in cui non solo l'architettura ma tutto il sistema dell'industria edilizia italiana potrebbe contribuire.

Ma l'Italia ha una storia di occasioni mancate con la Cina. Vittorino Colombo negli anni '70 regalò alla Cina il suo primo reattore nucleare moderno, quello dismesso dopo che il referendum sul nucleare cancellò il nucleare italiano, ma nessuno ha poi riscosso un credito al riguardo. Certo allora l'economia cinese era minuscola.
Negli anni '90 Andreotti e De Michelis ottennero concessioni per i lavori di infrastrutture nel raddoppio di Shanghai, Pudong. La fine della Prima Repubblica buttò a mare tutto mentre i cinesi attesero gli italiani, cosa che rallentò i loro lavori. Roma però rimase distratta, incerta per molti anni se l'economia cinese sarebbe crollata o meno.
Ora che la Cina è diventata la seconda economia del mondo, superando il Giappone e anzi diventando in appena un paio di anni più ricca del 30% del vicino, dovrebbero esserci più certezze. Roma dovrebbe cercare di sviluppare una vera politica attiva verso la Cina.
Lo farà? Nei prossimi mesi questo sembra improbabile, vista l'agenda politica interna italiana e il livello del dibattito politico attuale. Eppure, il problema dei problemi in Italia è quello della crescita, e riuscirsi ad agganciare a questo mega programma cinese potrebbe avere importanti effetti di volano per l'economia ingrippata di casa nostra. Ciò non risolverebbe le mille inefficienze del sistema Italia, ma darebbe un po' di ossigeno in più per cercare di fare ripartire tutto il motore.

Questo solo dovrebbe imporre l'agenda Cina all'attenzione concreta e non superficiale di tutti i partiti. Ma finora la Cina vista dall'Italia è mix esotico, disordinato e incomprensibile di inquinamento, codini, biciclette, code di automobili, diritti umani violati, orari di lavoro interminabili, comunisti, capitalisti... una folla di facili pregiudizi insomma che ostacolano e non aiutano una strategia organizzata per assicurarsi una fetta significativa del piano di urbanizzazione cinese. Visto da Pechino, non si sa se questo atteggiamento profondo riuscirà in breve tempo a cambiare.

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