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Questo articolo è stato pubblicato il 11 marzo 2013 alle ore 11:05.

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Manifatturiero, chimica e automotive. Sono i settori di punta dell'innovazione made in Italy insieme a farmaceutica e tlc. In questi comparti si concentrano le domande di brevetto trasmesse nel 2012 all'European patent office (Epo), l'ente che registra le richieste di brevetto unificato europeo. Il numero delle domande dal nostro Paese è di 4.735, in flessione (-3,4%) sul 2011, mentre a livello globale il trend delle richieste ha visto un'accelerazione del 5,2 per cento. Tra l'altro, lo scorso anno c'è anche stato uno storico sorpasso: il colosso Samsung ha scalzato dalla prima posizione Siemens.

Nella parte alta della classifica italiana si piazzano diverse multinazionali, tra cui l'olandese Lyondellbasell (plastica), Ge e la svizzera Sidel (soluzioni per l'imbottigliamento). Al primo posto con 72 richieste spicca Indesit, che nel 2012 ha investito 90 milioni in Ricerca & sviluppo. «È l'unica via per differenziare verso l'alto i prodotti - dice Marco Milani, a.d. della società -. Collaboriamo con una rete di università perché un'azienda da sola non può fare nulla. La vera difficoltà sono i fondi da investire nella ricerca».

Massicci investimenti in aumento, 197 milioni contro i 169 del 2011, per Paolo Chiesi, vice presidente e direttore R&S del Gruppo Chiesi farmaceutici, che evidenzia le difficoltà in cui si muovono le imprese: «Mancano i contributi diretti e la penuria di incentivi fiscali rende sempre più difficile mantenere queste attività in Italia. Abbiamo un portafoglio con oltre 1.400 brevetti mondiali che ci assicurano una posizione concorrenziale e reinvestiamo nella ricerca i ricavi legati all'introduzione di nuovi farmaci sui mercati mondiali».

La conferma di quanto sia difficile fare ricerca viene dal confronto tra il numero delle domande inviate dalla filiera italiana dell'automotive e quello di un singolo costruttore come Toyota: un centinaio quelli "made in Italy" contro i 714 del colosso giapponese. «Nell'auto c'è l'egemonia tedesca, mentre le Pmi italiane non sono strutturate per portare avanti una strategia di lungo periodo - osserva Luigi Ippolito, responsabile innovazione della Magneti Marelli, fornitore dei motori elettrici per "LaFerrari" -. È necessario lavorare con i cluster nazionali e accedere ai fondi dei Programmi quadro Ue».

Un driver è la riduzione dei consumi e dell'inquinamento. Pirelli porta avanti un progetto che prevede l'utilizzo della lolla di riso per ridurre l'attrito da rotolamento. «È la base per gomme a bassa resistenza - sottolinea Maurizio Boiocchi, Chief technical officer di Pirelli -. Si continua anche a lavorare al "cyber tyre", sistema elettronico all'interno del pneumatico che monitora una serie di parametri degli pneumatici e aiuta a ridurre i consumi e aumenta la sicurezza: anno dopo anno queste attività si arricchiscono di altri brevetti».

In classifica anche alcune Pmi metalmeccaniche come la Marzoli (Gruppo Camozzi), leader negli impianti completi per l'industria tessile, che si confronta con altri produttori tedeschi, svizzeri e giapponesi. «La voce innovazione pesa sui bilanci, ma è irrinunciabile, perché il vantaggio competitivo sui concorrenti si riduce sempre più» precisa Lodovico Camozzi, a.d. della Marzoli. C'è, infine, da colmare il gap relativo all'uso della proprietà intellettuale come arma strategica. «Gli altri produttori - conclude Camozzi - applicano una politica brevettuale molto aggressiva nel tentativo di spiazzare i rivali».

enrico.netti@ilsole24ore.com

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