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Questo articolo è stato pubblicato il 11 marzo 2013 alle ore 11:00.

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C'è la divisa per la scuola. Ci sono i pannelli solari per l'acqua calda. Ma ci sono anche il telefonino, il televisore, il motorino, le scarpe nuove. Consumi da classe media. Che nei paesi emergenti queste spese siano in crescita è cosa nota. Meno noto è il fatto che per una buona parte siano foraggiate dalle rimesse degli emigranti: più o meno, 280 miliardi di dollari all'anno.

Il calcolo è frutto di due dati. Il primo è che la Banca Mondiale ha stimato per il 2012 un flusso di rimesse verso i paesi in via di sviluppo pari a 406 miliardi di dollari. Il secondo è che si stima che, di questi, il 70% sia diretto ai consumi delle famiglie, e un 30% contribuisca ad alimentare micro-attività economiche di familiari e conoscenti.
Nelle rimesse c'è dunque un enorme potenziale di mercato. E sconcerta sapere, come ha recentemente ricordato il quotidiano inglese The Guardian, che si tratta di somme tre volte superiori agli aiuti allo sviluppo diretti verso questi paesi. Significa che gli emergenti si aiutano di più da soli di quanto non lo sappiamo fare noi.
Conoscere dove sono diretti questi flussi vuol anche dire sapere in quali Paesi i consumi cresceranno di più. Le Filippine, ad esempio, sono al terzo posto nella classifica delle destinazioni delle rimesse, e precedono solo di poco la Nigeria e l'Egitto. Guarda caso, due fra le realtà dell'Africa che cresceranno di più, sul fronte dei consumi.

Dall'Italia partono ogni anno circa 7,4 miliardi di euro dalle tasche dei lavoratori emigrati, con destinazione Cina (2,5 miliardi), Romania (894 milioni), Filippine (601 milioni) e Marocco (299 milioni). «Un calcolo sommario basato sul Pil dei paesi destinatari permette di asserire che le rimesse dall'Italia mantengono i consumi, nei rispettivi paesi, di 800mila cinesi, 629mila bengalesi, 394mila filippini e 348mila senegalesi», esemplifica Giovannangelo Montecchi Palazzi, presidente del Comitato scientifico di Confindustria Assafrica & Mediterraneo. Che ricorda, fra l'altro, come già nel 2011 le rimesse dall'Italia verso le Filippine, il Marocco e il Bangladesh superassero lo stanziamento 2013 della Farnesina per gli aiuti biliaterali.
La fetta dei soldi dunque è di un certo rilievo. Bisogna semmai farli funzionare meglio, renderli più produttivi. Aiutare, cioè, a incanalarli - soprattutto quel 30% destinato alle microattività - verso imprese economiche che li mettano a frutto e, in ultima istanza, portino ad aumentare ulteriormente i consumi. Qualche tentativo è stato fatto. La Francia, per esempio, ha impostato un complesso sistema di credito di imposta a favore degli imprenditori immigrati che intendano investire nei propri Paesi d'origine. Il Banco interamericano di sviluppo (Bid) ha dei programmi per incentivare l'impiego produttivo dei circa 64 miliardi di dollari che ogni anno vanno nelle tasche dei familiari degli emigrati.

Uno dei progetti più interessanti porta la firma dell'Italia. Bancoposta ha stipulato un accordo pilota con il suo omologo del Senegal, PosteFinances, per fornire servizi congiunti in entrambi i Paesi, dedicato alla comunità senegalese in Italia. I risultati dell'accordo sono molteplici: da un lato si riduce il ricorso ai canali informali di trasferimento del denaro oltreconfine, e dall'altro si favorisce l'accumulazione di risorse utilizzabili per finanziare progetti produttivi. Una specie di cassa depositi e prestiti in salsa africana, insomma, che canalizzi il risparmio in operazioni di credito alle imprese, ancorché piccolissime, per dare lavoro e stipendi alla popolazione locale. Dopo il Senegal, Bancoposta si è attivato per fare consulenza ai servizi finanziari postali di altri dodici Paesi emergenti. Cercando di sopperire al credito che le banche spesso non riescono a fornire: «Per un istituto bancario – conclude Montecchi – è conveniente aprire in un Paese solo quando il reddito medio annuo procapite supera i 10mila dollari. In Marocco, che tra i paesi africani è nel gruppo di testa, il reddito medio è attorno ai 5mila dollari. Ecco perché è necessario intervenire sul sistema con meccanismi di supporto».

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