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Questo articolo è stato pubblicato il 16 marzo 2013 alle ore 08:16.

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«È un accordo importante. Per la prima volta, in Italia, il contratto di solidarietà viene adoperato per un problema industriale di queste dimensioni e coinvolgendo un numero tanto grande di lavoratori. L'intesa dell'Ilva contiene davvero un elemento di innovazione significativa. E aggiunge un tassello al mosaico di una Italia tenace che, nonostante tutto, prova a restare con caparbietà dentro al perimetro della manifattura e del lavoro». Il viceministro al Lavoro Michel Martone, 39 anni, spiega le ragioni di una soddifazione che coinvolge tutti: governo e lavoratori, management dell'azienda e sindacati.
In una vicenda tanto complessa, iniziamo dal dato emotivo-industriale. In questa maniera, almeno in parte, si ricompone la distanza che si era creata fra lavoratori e azienda, fra azienda e sindacati, addirittura fra lavoratori e sindacati.
Lei ha ragione. E questo vale su due piani. C'è un piano più generale: il processo negoziale che ha portato a questo accordo è stato fondato sul dialogo e sulla ricerca di un consenso razionale di tutti. Sottolineo che, con grande responsabilità, ha firmato anche la Fiom, che per esempio a febbraio sulla cassa in deroga aveva deciso di non farlo. La stessa azienda, che era partita chiedendo la Cig per 6.507 persone, prima è scesa a 4.300 e, poi, ha accettato di accantonare questa richiesta prendendo in considerazione il contratto di solidarietà. C'è, poi, un piano particolare: questo strumento è, per gli uomini e per le donne che lavorano a Taranto e negli altri stabilimenti, assai meno traumatico di quanto non sarebbe stata la Cig.
Senz'altro è meno dura. Uno studio della Fim-Cisl ha compiuto una simulazione: per un operaio di quarto livello, stipendio netto di 1.300 euro al mese, la Cig avrebbe significato una busta da 1.025 euro, che invece diventeranno 1.140 euro con la solidarietà.
Questo conta. Ma conta soprattutto che, così, il dipendente dell'Ilva non si trova espulso dalla fabbrica. In una Italia in cui chi perde il posto difficilmente lo ritrova, qui non ci sono esuberi. Peraltro, nelle ore in cui non lavora, il dipendente dell'Ilva fa formazione. Così la sua cultura industriale, che costituisce una delle grandi risorse di un Paese che resta la seconda manifattura europea dopo la Germania, non viene depauperata. In più, dal punto di vista psicologico, è importante che la solidarietà sia spalmata su tutti quanti: fissate in 3.749 le eccedenze temporanee collegate alla necessità di compiere i lavori dell'autorizzazione integrata ambientale, la solidarietà riguarderà a rotazione 11mila persone.
Dal punto di vista delle relazioni industriali, ricorda il modello tedesco.
Esatto. Si tratta del Kurzarbeit, uno strumento adoperato una decina d'anni fa dal sistema industriale e sindacale tedesco per ristrutturare la sua manifattura. Opel, Volkswagen, Bosch, Siemens. E' vero che in Germania i redditi sono più alti che in Italia, ma da loro lo Stato non mette soldi. Da noi l'Ilva paga le ore effettivamente lavorate, sulla rimanenza lo Stato italiano mette l'80 per cento.
Nel modello tedesco, i sindacati hanno però un controllo fortissimo.
Anche in questo caso sarà così. L'intero meccanismo è basato sull'effettuazione da parte dell'azienda dei lavori previsti dall'Aia. E su una sorta di audit da parte dei sindacati. Ogni mese le Rsu effettueranno una verifica su quanto realizzato dall'Ilva negli ultimi trenta giorni e su quanto dovrà essere realizzato nei 30 giorni successivi. Poi, i sindacati locali e nazionali faranno il punto della situazione con l'Ilva ogni tre mesi. Quindi, ogni sei mesi il governo controllerà lo stato di avanzamento dei lavori.
Almeno dal punto di vista simbolico, si tratta di una svolta. Il disagio a Taranto verso le istituzioni classiche e i sindacati è fortissimo. Il Movimento Cinque Stelle è il primo partito con il 27%.
Non entro nel merito dei risultati elettorali. Certo, questa intesa dimostra che esiste una Italia industriale tenace. Come ammesso anche dai giapponesi di Bridgestone che, proprio in virtù del buon lavoro fatto in 50 anni dagli operai di Bari, hanno rinunciato all'irrinunciabilità della chiusura dello stabilimento. Il passaggio per la nostra economia reale è durissimo. Ma, da Taranto e da Bari, in questi giorni sono davvero arrivati due buoni segnali.
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