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Questo articolo è stato pubblicato il 29 marzo 2013 alle ore 16:21.

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Dal fango e le ruspe del cantiere di Chiomonte alle asettiche aule del Tar Lazio e del Tribunale di Torino. Per poi ritornare, ancora e di nuovo, in Valle di Susa. La battaglia contro la Torino-Lione si combatte non solo a colpi di manifestazioni, cortei e incursioni degli attivisti.
Ma la lotta è fatta anche di carte bollate, richieste e dinieghi, ricorsi e contro-ricorsi, su aspetti macro e micro dell'iter che accompagna il complesso progetto dell'alta velocità. L'ultima scintilla, lontano dalle recinzioni dei lavori aperti in Valsusa, è scoccata intorno alla questione del progetto esecutivo di Chiomonte, che il movimento No Tav chiede da tempo di poter visionare, ma che ancora una volta questa settimana Ltf ha negato agli interlocutori, opponendo una serie di motivazioni.

Non ultimo il fatto che il progetto, come ha chiarito il commissario di Governo per la Torino-Lione, Mario Virano, «viene completato e terminato man mano che procedono le lavorazioni».
L'intera questione è una conseguenza diretta della visita di sabato scorso, 23 marzo, da parte di una delegazione di 61 parlamentari grillini e di Sel accompagnati da 38 tecnici e leader del movimento No Tav al cantiere della Maddalena. Qui, sotto il museo archeologico (ormai divenuto il centro operativo delle forze dell'ordine che presidiano, giorno e notte, il sito), è stato avviato lo scavo per la realizzazione della galleria esplorativa di 7 km, del valore di 143 milioni, propedeutica al futuro tunnel di base e di cui, ad oggi, sono stati realizzati circa una cinquantina di metri (i No Tav contestano anche questa misura) con tecnica tradizionale.

«L'ispezione al cantiere – spiegano i tecnici del Movimento, che tengono a sottolineare come non si sia trattato di una semplice visita – ci ha consentito di verificare che una serie di prescrizioni ambientali, inserite dal Comitato interministeriale come presupposto per l'autorizzazione dei lavori nella delibera approvata nel novembre 2010, non sono state rispettate». Per avere tutte le controprove, però, attivisti e avvocati chiedono di vedere le carte del progetto esecutivo.
«In settimana, come era previsto, ci siamo presentati a un appuntamento con Ltf, che ha negato l'accesso alla documentazione, perché la Comunità montana è controparte in un ricorso al Tar del Lazio – spiega, con evidente amarezza, l'avvocato Massimo Bongiovanni -.

Tuttavia si tratta di una pubblica amministrazione che chiede documenti ad un'altra, è inammissibile che non vengano consegnati. Senza contare che nell'esame dell'istanza istruttoria con cui il Tar del Lazio sta procedendo all'esame dell'impugnativa presentata contro la delibera del Cipe, i giudici romani hanno chiesto la consegna dello stesso esecutivo». Pronta, però, la replica di Ltf che precisa: «E' stato seguito tutto l'iter previsto per il progetto esecutivo così come disciplinato dal codice dei contratti pubblici» e invita i No Tav a effettuare una formale richiesta di accesso agli atti, per poterli consultare.
Il chiarimento arriva però da Virano. «Lo sviluppo del progetto esecutivo – spiega il commissario – spetta all'impresa titolare dell'appalto integrato (cioè la Venaus, società creata dalla cordata guidata da Cmc) e, come sempre accade in tutte le grandi opere di questo tipo, viene sviluppato in lotti.

Indicativamente, anche per lo scavo, sarà redatto un esecutivo all'avanzamento di ogni 100 metri». Spiega ancora il commissario: «Le prescrizioni ambientali sono attentamente osservate. Al punto che il progetto è costantemente sottoposto al vaglio del ministero dell'Ambiente, a cui sono inviate le carte e che può fare rilevazioni oppure lasciare che si proceda con il silenzio-assenso». Ma, ribattono ancora i legali No Tav, il progetto deve essere unitario. Prima di altri atti legali, la prossima mossa sarà dunque un'interrogazione parlamentare annunciata dal Movimento 5 Stelle.

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