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Questo articolo è stato pubblicato il 02 aprile 2013 alle ore 15:00.

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MILANO. «La nostra benedizione è la Cina, oggi sviluppa il 40% delle vendite». «Per noi la Russia corre, vale il 20% dei ricavi». Le esperienze nell'impiantistica e nelle macchine utensili raccontate da Mauro Medici, direttore generale di Pomini Tenova e Riccardo Rosa, presidente dell'Ermando Rosa, sono sempre più frequenti tra gli imprenditori italiani. Che da tempo si confrontano con la necessità di aumentare in generale l'export ma che negli ultimi anni hanno dovuto allargare il raggio della propria azione per catturare la crescita là dove si manifesta con maggior vigore.

E per nostra sfortuna le aree più dinamiche non sono tra i nostri vicini di casa, con l'export europeo al palo nel 2012 a fronte di un balzo di quasi dieci punti per le vendite extra-Ue. Gap ancora più accentuato a gennaio, con un balzo di quasi 18 punti per il resto del mondo e un magro +2,6% sul continente. Febbraio è stato più "avaro", con un aumento extra-Ue limitato al 2,1%, ma si tratta pur sempre di un'altra crescita, ormai ininterrotta su base mensile dal lontano dicembre 2009.

L'Italia per la verità ha saputo cogliere questo trend, quasi quadruplicando dal 1993 ad oggi le vendite extra-Ue, arrivate nel 2012 a 180 miliardi. Negli ultimi cinque anni il trend si è ulteriormente rafforzato, facendo crescere di oltre sette punti al 46,3% la quota extra-Ue sul totale dell'export, tre punti in più rispetto alla Germania.
Una media che nasconde tuttavia realtà molto diverse, sia a livello settoriale che territoriale.

Per alcuni comparti, come navi e gioielli, la quota extra-Ue sfiora addirittura l'80% ma si tratta di aree poco rilevanti in valori assoluti. Ben più pesante invece il ruolo di beni strumentali e macchine utensili, che realizzano nei mercati più remoti anche più del 60% dell'export complessivo. Tra i primi dieci mercati di sbocco delle categorie rappresentate da Federmacchine solo quattro sono europei e il peso dei Bric's aumenta ogni anno anche per i cambiamenti epocali che avvengono in quei paesi. «In Russia – chiarisce Riccardo Rosa – sempre più spesso negoziamo i contratti per le nostre macchine utensili direttamente con i clienti privati mentre una volta l'intermediazione era gestita dallo Stato e del partito, dunque in modo molto più complicato».
Ben posizionati sui paesi extra-Ue sono anche i settori dell'abbigliamento e del cuoio-pelletteria, con percentuali superiori al 50% dell'export.

Dal punto di vista territoriale Sicilia e Sardegna sono in testa alla classifica, spinte però verso l'alto da un unico settore, quello dei prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio. Così Siracusa e Cagliari guidano la graduatoria delle province per peso dell'export extra-Ue, seguite da Milano e Firenze. Risultati, quelli raggiunti dal capoluogo lombardo, che secondo l'ultimo sondaggio di Assolombarda saranno ulteriormente rafforzati nei prossimi anni, perché è proprio nei Bric's che si concentrano più frequentemente i piani di sviluppo 2013-2015 delle aziende.

Per la classifica di Firenze sono invece determinanti cuoio-pelletteria e le turbine di Nuovo Pignone e del distretto collegato, capaci insieme di sviluppare quasi 2,5 miliardi di ricavi extra-Ue nel 2012. Per Arezzo, così come per Alessandria, è cruciale la spinta dell'oreficeria, mentre macchine utensili e meccanica spiegano la presenza nella parte alta della classifica di Bologna, Varese, Modena e Vicenza. Prendendo in considerazione tutti i territori e non solo le province più pesanti in termini di valori assoluti dell'export, spicca la performance di Massa-Carrara, dove la quota extra-Ue sfiora il 90% grazie ai mercati di sbocco del marmo e delle macchine per la sua lavorazione, che privilegiano in particolare Asia e Stati Uniti. Nella parte bassa della graduatoria per presenza extra-Ue troviamo invece Brescia e Cuneo, frenate rispettivamente da metallurgia-siderurgia e prodotti alimentari, orientati principalmente all'Europa, con una quota extra-Ue ridotta in media al 30% dell'export globale.

Situazione analoga per Bergamo, ma qui, come altrove, l'idea di tutti gli imprenditori è allargare in modo netto i confini del proprio business. «Stiamo aprendo una filiale in India – racconta Alberto Donati, presidente di Ofi (integratori dietetici e cosmetici) – e poi abbiamo progetti in Sud America, Russia ed Emirati Arabi. Ormai è un obbligo: magari l'Europa fosse stabile! Il guaio è che sta addirittura perdendo terreno».

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