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Questo articolo è stato pubblicato il 03 aprile 2013 alle ore 11:00.

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Sabato scorso il governo brasiliano ha confermato la proroga delle aliquote ridotte dell'Ipi (Imposto sobre Produtos Industrializados) per automobili e camion fino al 31 dicembre 2013. Rinuncia così a 2,2 miliardi di reais (1,1 miliardi di dollari) di introiti fiscali per sostenere la produzione e combattere l'inflazione. E conferma che di fronte al rallentamento del Pil registrato nel 2013, le autorità sono determinate a sostenere i consumi, soprattutto di beni durevoli, che hanno giocato un ruolo cruciale nella success story di questi anni.

Sappiamo molto dei consumatori brasiliani, dato che il primo sondaggio delle famiglie è stato realizzato nel... 1872! Senza andare tanto indietro nel tempo, in questo primo scorcio del XXI secolo i consumi delle famiglie hanno rappresentato intorno al 60% del Pil, un po' più che in India e in Russia, molto di più che in Cina. Le statistiche sono eloquenti anche nel descrivere il cambio dei consumatori. Grazie alla fine dell'iperinflazione, all'aumento del numero dei posti di lavoro e delle remunerazioni, a programmi specifici, il Brasile è ormai diventato un Paese di ceto medio. Anche se le definizioni sono diverse, almeno la metà dei brasiliani può essere classificata come tale. Per Marcelo Neri, presidente dell'Ipea, il prestigioso think tank del governo, nel periodo 2003-2011 40 milioni di persone sono entrate nella classe C e questa "nova classe média" ne conta ora 105 milioni. Una famiglia di classe media ha un reddito compreso tra 1.750 e 7.450 reais al mese (867-3.690 dollari).
Telefoni cellulari, elettrodomestici, carte di credito, autovetture per i più fortunati: non c'è bisogno di citare le cifre per mostrare in cosa si traduce la domanda del ceto medio. Ma anche nuovi canali di vendita: la grande distribuzione organizzata, per esempio, concentra una quota superiore dei consumi brasiliani di carne, frutta e verdura che negli altri Bric.

I consumi non sono però immuni dalle criticità che fanno periodicamente decelerare il boom brasiliano. Tra il 2010 e il 2012, sono proprio costruzioni, commercio, trasporti e intermediazione finanziaria che hanno appesantito le ali della crescita. In parte i motivi sono legati alla natura di questi settori, non esposti alla concorrenza internazionale, meno dinamici in termini di produttività e caratterizzati da costi crescenti - e pertanto prezzi superiori per i consumatori. In parte gioca il rallentamento del credito al consumo, la cui crescita nei 12 mesi fino a febbraio 2013 è stata del 3% - mentre aveva raggiunto il 13,7% a febbraio 2011 (sempre sui 12 mesi precedenti). Resiste solo il credito immobiliare, grazie ai programmi pubblici.
C'è meno credito perché sono cresciute le sofferenze sui prestiti. Soprattutto nel caso del mercato automobilistico, l'esplosione degli ultimi anni si è rivelata insostenibile, e i crediti erano concessi senza sufficiente attenzione alla qualità dei debitori. E anche chi paga lo fa con difficoltà, destinando al servizio del debito una parte crescente del reddito disponibile.

Non sorprende quindi che la domanda di nuovi finanziamenti sia stagnante.
Del resto classe media vuole dire tutto, e niente. Molti dei brasiliani che per reddito e modalità di consumo ne fanno parte da qualche anno, hanno però lavori informali, poca istruzione (il 9% dei capi-famiglia di classe media sono analfabeti), alloggi inadeguati (400mila non hanno il bagno in casa) e nessuna copertura previdenziale. Stanno meglio di 20 anni fa, ma rimangono precari e vulnerabili. Gli economisti li considerano ormai un solido pilastro per la trasformazione dell'economia brasiliana in uno dei giganti del G-20, per i sociologi invece le loro sorti sono troppo oscillanti per giustificare un eccessivo ottimismo.

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