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Questo articolo è stato pubblicato il 03 aprile 2013 alle ore 20:44.

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Oggi non si festeggiano solo i quarant'anni dalla nascita del primo telefono cellulare, per mano dell'ingegnere americano-ucraino della Motorola Martin Cooper, ma anche primi quarant'anni di vita del codice a barre, altra tecnologia tra le più utili ma sconosciute - a differenza del telefonino - che ci circondano ogni giorno e quotidianamente ci semplificano la vita, in azienda come al supermercato, in ospedale come in aeroporto. Anche per il codice a barre la primogenitura è americana e porta la firma di due studenti di ingegneria dell'Università di Drexel a Filadelfia, Joseph Woodland e Bernard Silver, impegnati a risolvere le esigenze di automatizzazione di cassa di un'azienda distributiva. Ma c'è l'impronta italiana in questi quattro decenni di storia ed è quella della bolognese Datalogic.

La moderna struttura standardizzata del codice a barre - linee verticali sopra e numeri sotto, in due blocchi, scartata la soluzione alternativa di un codice circolare - è datata 3 aprile 1973. È invece del 26 giugno 1974 il primo "beep", il caratteristico rumore della lettura del codice, emesso in un supermercato dell'Ohio, passando un pacchetto di gomme da masticare alla frutta, da uno scanner "Magellan A": il primo lettore da banco al mondo, creato da un'azienda dell'Oregon oggi del gruppo bolognese.

Un computerone scuro ingombrante e complicato che tutt'ora troneggia all'ingresso dello stabilimento Datalogic Scanning a Eugene. Un beep che è la voce di un pioniere nella raccolta automatica dei dati, nato nel 1972 a Calderara di Reno, alle porte del capoluogo emiliano, dalla passione dell'attuale presidente e ceo Romano Volta, con la produzione di sensori fotoelettrici per l'automazione industriale e oggi leader mondiale – con 2.400 dipendenti worldwide e 462 milioni di fatturato consolidato - nei sistemi fissi di scannerizzazione alle casse dei supermercati, degli scanner industriali di codici a barre e nei mobile computer per la gestione dei magazzini. Un terzo dei punti vendita della Gdo planetaria, così come pure un terzo degli aeroporti, dei servizi postali e di spedizione del mondo, usano lettori Datalogic.

Partita nel 1974 con i supermercati, quattro anni dopo l'azienda bolognese ha portato i lettori di barcode nell'industria e nel 1984 ha sperimentato - prima in Europa - all'aeroporto di Linate la gestione dei bagagli attraverso sistemi cifrati. Operazione tutt'altro che semplice, dovendo catturare i segni di inchiostro su cartellini penzolanti e non marchiature fisse su uno dei sei lati di una scatola. Tecnologie per la messa a fuoco rapidissima tramite misurazione automatica delle distanze che sono il valore aggiunto del player emiliano, approdato più recentemente anche nella sanità, iniziando non per caso da quella statunitense: braccialetti dei pazienti, cartelle sanitarie ma anche provette di sangue e analisi, tutto può essere abbinato a un tag e letto dai marchingegni Datalogic, evitando errori umani e permettendo l'immediata catalogazione dei dati. Quarant'anni di storia e di sviluppo a suon di brevetti (oltre mille in archivio) e di acquisizioni, con 32 milioni di euro investiti in ricerca anche in un anno critico come il 2012, il gruppo Datalogic (quotato dal 2001 allo Star), mantiene le radici in Italia ma ha i rami in 30 Paesi e vende in 120 mercati. L'Italia oggi pesa poco più dell'8% del fatturato consolidato. Eppure una buona fetta dei 10 miliardi di transazioni che ogni anno avvengono nel mondo attraverso la lettura di barcode è merito di questa eccellenza made in Emilia.

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