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Questo articolo è stato pubblicato il 11 aprile 2013 alle ore 06:45.

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È una nicchia, in cui però l'Italia mantiene una posizione di leadership a livello mondiale: giro d'affari superiore ai 3,2 miliardi di euro, con circa l'85% della produzione esportato in più di 90 Paesi. Quello dei principi attivi farmaceutici è un comparto della chimica in cui il Paese sta giocando da leader e sembra per il momento tenere a debita distanza la concorrenza di competitors come India o Cina che, soprattutto a inizio degli anni Duemila, avevano iniziato a fare molta paura, puntando la loro competizione in particolare sui costi di produzione. «Il nostro settore non è però labour intensive. Il costo del lavoro non va a incidere più del 20 per cento. Si comprende bene come siamo avvantaggiati dal fatto che la partita si giochi su competenze e ricerca», afferma Gian Mario Baccalini, presidente e amministratore delegato di Euticals, realtà leader del comparto, con 235 milioni di euro di ricavi, saliti su base annua del 10%, e 900 addetti. L'azienda nel 2001 fatturava 15 milioni di euro con 80 addetti. In poco più di un decennio dunque il giro d'affari si è impennato e l'azienda di Lodi ha fatto un salto di qualità, legato anche all'ingresso di investitori: Fondo Clessidra, Mandarin Capital Partners, Private Equity Partners, Idea Capital, che insieme hanno l'80% del capitale. «È stata una scelta importante, questa dell'apertura ai fondi – aggiunge Baccalini – necessaria per acquisire massa critica».

Un elemento importante, quest'ultimo, che potrebbe diventare quasi un imperativo in un settore in cui i due terzi delle imprese hanno meno di 100 addetti (in tutto 9.900), le 88 aziende produttrici sono in prevalenza piccole e medie, ma grado d'apertura all'estero e investimenti sono fra i punti di forza. A questo ambito viene destinato il 3% del fatturato e – secondo Aschimfarma, l'associazione delle aziende produttrici di materie prime farmaceutiche, aderente a Federchimica – si può stimare che il settore rappresenti il 10% delle spese in ricerca e sviluppo del totale dell'industria chimica italiana. Mai come in questo caso però, con una produzione a cavallo fra chimica e farmaceutica, le condizioni di "agibilità" diventano determinanti, come precisa anche Daniele Cardoso, presidente di Infa Group, possiede tre stabilimenti, due in Italia, Labochim e Sifavitor, e uno in Spagna, Derivados Quimicos. «Quello che chiediamo – dice – è di avere delle condizioni adeguate per poter lavorare. Per certi versi il sistema Paese ancora non ci aiuta». Nonostante tutto, questo settore sta mostrando i muscoli e i suoi punti di forza. «L'Italia – precisa Cardoso – ha da sempre avuto un'eccellente scuola chimica. Stando all'oggi, il fatto di essere massicciamente coinvolti nella filiera di produzione del farmaco generico ci aiuta, ma allo stesso tempo ci crea problemi nella misura in cui le aziende hanno a che fare con la Pa». Per ora però specializzazione e tradizione stanno premiando. «Stiamo vedendo – conclude Cardoso – un ritorno della clientela internazionale».

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