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Questo articolo è stato pubblicato il 12 aprile 2013 alle ore 06:43.

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«Pronto, papà? Sei indagato». Carlo Borgomeo, presidente della fondazione con il Sud, è stato buttato giù dal letto da una telefonata del figlio che da Oxford lo informava dell'inchiesta dei magistrati napoletani sulla bonifica di Bagnolifutura, la società di cui è stato amministratore delegato dal 2002 al 2007. Borgomeo non si è scomposto. Cattolico fervente, padre della legge 44 per l'imprenditoria nel Sud, una passionaccia per il Mezzogiorno che ha girato in lungo e in largo prima come sindacalista della Cisl, poi come animatore economico e teorico della infrastrutturazione sociale.

Di Bagnolifutura preferisce non parlare, ma è evidente, ha confidato a chi lo conosce bene, che il protocollo della bonifica dei suoli sia stato materialmente redatto dal ministero dell'Ambiente, che a sua volta non poteva che attenersi al rispetto della più rigida legislazione in materia. E allora? Allora il tema chiave è quello dei controlli, a chi toccava la verifica dell'avvenuto smaltimento del materiale inquinato prelevato a Bagnoli. La scelta tecnica fatta in ossequio alla legislazione fu quella di scavare fino a cinque metri una gran parte dei 200 ettari di terreno sui quali sorgeva l'acciaieria. Il sospetto degli inquirenti è che la De Vizia Transfer, la società che vinse la gara pubblica di Bagnoli, non abbia smaltito nel modo dovuto una parte dei 15 ettari di terreni sui quali insisteva la Eternit. «In questo caso noi siamo parte lesa», dice Borgomeo.

La legge prescrive che i controlli sullo smaltimento delle bonifiche debbano essere espletati, in successione, dall'Arpac, l'Agenzia regionale per l'ambiente, dalla Provincia e dal ministero dell'Ambiente. C'è stata negligenza o omesso controllo da parte delle tre istituzioni deputate alle verifiche sul percorso e la destinazione finale del materiale inquinato di Bagnoli? Ecco la questione sulla quale l'inchiesta dovrà fare chiarezza.

Certo non siamo in presenza di nomi al di sopra di ogni sospetto. La De Vizia, sfiorata da diversi indagini, si è occupata della raccolta della monnezza ad Avellino, Fondi e Gaeta e della gestione della discarica di Ariano Irpino. Anche l'Arpac Campania è stata oggetto di polemiche. Prima di tutto per la spartizione politica che nel 2006 spinse il governatore Antonio Bassolino ad assegnare gran parte delle poltrone in materia ambientale, Arpac compresa, ai personaggi di spicco dell'Udeur di Clemente Mastella. Famosa la frase degli uomini dell'entourage di Bassolino: «E mica a Mastella e a suoi potevamo dare il bilancio!». Sull'efficienza della macchina amministrativa della Provincia di Napoli, che nel 2009 passa dalla gestione di Dino Di Palma, ex assessore alla Nettezza urbana con Bassolino sindaco, a quella di Luigi Cesaro detto Gigino 'a purpetta, avvocato di Sant'Antimo e sodale di Nicola Cosentino, dei dubbi è più che legittimo nutrirli. Un sospetto alimentato anche dalla relazione conclusiva della commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, che dedica a Bagnoli tre pagine su oltre 140, nelle quali si citano, per l'appunto, «i forti dubbi» della Procura della Repubblica di Napoli «sulle certificazioni rilasciate dalla Provincia». Il motivo è semplice: Bagnolifutura è partecipata da Comune, Provincia e Regione Campania.

Scrivono deputati e senatori della commissione bicamerale d'inchiesta: «Non è dato comprendere come possano apparire imparziali le certificazioni rilasciate dalla Provincia aventi per oggetto beni di proprietà di una società controllata dalla Provincia stessa». Consapevoli forse di quanto fossero fragili le istituzioni deputate al controllo i vertici di Bagnolifutura si cautelarono siglando un accordo con l'Istituto superiore di Sanità, ulteriore e autorevole supervisor della bonifica dei suoli. Una scelta strumentale, sostiene la commissione parlamentare d'inchiesta, perché la convenzione fu stipulata «proprio in ragione delle indagini avviate dalla Procura della Repubblica di Napoli».

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