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Questo articolo è stato pubblicato il 13 aprile 2013 alle ore 12:29.

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Nella foto gli stabilimenti Ilva di TarantoNella foto gli stabilimenti Ilva di Taranto

Un sì o un no per il mantenimento o la chiusura dell'Ilva a Taranto. Domani mattina, e sino alle 22, circa 160mila elettori tarantini saranno chiamati per la prima volta a pronunciarsi attraverso un referendum cittadino consultivo. E non è un referendum da poco perché investe un tema, l'Ilva appunto, che mai come negli ultimi otto-nove mesi ha polarizzato la vita della cittá. Ai tarantini verrá posta una doppia domanda: si o no alla chiusura totale dell'Ilva, si o no alla chiusura parziale della fabbrica, ovvero la sola area a caldo, quella che, con la presenza dei parchi minerali, dove sono stoccate le materie prime, le cokerie, gli altiforni e le acciaierie, è sicuramente la parte dello stabilimento che ha un maggior impatto sull'ambiente. Un referendum, quindi, che chiede una scelta secca e netta sull'Ilva ma anche sul dilemma che ha diviso e lacerato la città dal 26 luglio scorso - giorno in cui scattarono i primi sequestri giudiziari nel siderurgico - ad oggi, ovvero se sia preferibile l'ambiente o il lavoro.

A promuovere la consultazione è il comitato referendario cittadino "Taranto Futura" che, in base allo statuto del Comune, piú di un un anno fa ha raccolto oltre tremila firme per quesito. Il tutto, poi, è stato validato da un comitato di garanti insediato dallo stesso Comune e all'inizio del 2013 il sindaco di Taranto, Ezio Stefáno, ha fissato la data della votazione: domenica 14 aprile. Avrebbe dovuto svolgersi prima il referendum, forse già nella scorsa primavera, ma la coincidenza con le elezioni comunali di Taranto ha fatto sí che ci fosse uno slittamento.

Per un insieme di ragioni, c'è molto interesse sulla risposta che daranno i tarantini. Ma prim'ancora bisognerà vedere un altro aspetto: sarà raggiunto il quorum? Sebbene sia solo consultivo, il che vuol dire che le indicazioni di voto non avranno una conseguenza immediata e automatica sul problema sottoposto a consultazione, il referendum, per essere comunque valido, dovrá vedere alle urne il 50 per cento piú uno degli aventi diritto. Il che vuol dire poco piú di 80mila votanti. E non sembrebbe proprio un obiettivo a portata di mano.

Va poi detto che il referendum, per una particolare coincidenza, non solo arriva alla fine di otto mesi difficili per l'Ilva, ma anche e soprattutto a pochissimi giorni dalla sentenza della Corte Costituzionale - è di martedì scorso appena - che ha stabilito, respingendo tutte le eccezioni sollevate dai giudici di Taranto, che la legge 231 del 2012 é costituzionale. Ovvero che non c'é alcun conflitto con la Costituzione, né lesione dell'autonomo potere della Magistratura, proprio di quella legge che il Governo prima e il Parlamento poi hanno fortemente voluto perché non ci fosse un'alternativa secca fra lavoro e ambiente ma, al contrario, coesistenza di entrambi. La legge 231, infatti, prevede che l'Ilva possa sì continuare a produrre acciaio ma ad una condizione fondamentale: che in tre anni, a partire dal 26 ottobre scorso, rinnovi, risani e adegui tutta l'area a caldo, che é quella sequestrata a luglio dai giudici e che domani, per i tarantini, sará oggetto di quesito di voto. Le prescrizioni dell'Autorizzazione integrata ambientale sono infatti rigorose. Su di esse vigilano l'Ispra e un garante e se l'azienda dovesse essere inadempiente, sono anche previste sanzioni pesanti e la possibilitá che la stessa impresa sia sottratta alla proprietà, ai Riva, di cui tre componenti - il patron Emilio e i figli Nicola e Fabio - sono da mesi nei guai giudiziari proprio per l'inchiesta di Taranto, tanto da essere stati costretti a lasciare la gestione diretta dell'Ilva per metterla nelle mani di due esterni alla famiglia: il presidente Bruno Ferrante e l'amministratore delegato Enrico Bondi, quest'ultimo nominato appena qualche giorno fa.

Il fatto che il referendum arrivi dopo una legge sull'Aia e dopo il placet della Consulta sembra quindi ridimensionare un po' di problemi che avevano portato a promuovere la consultazione. Questo é anche il concetto che sottolineano i sindacati Cgil, Cisl e Confndustria, pur non negando l'importanza di una forma di democrazia diretta quale il referendum. Insomma, é il loro ragionamento, domani si chiede ai tarantini di pronunciarsi con un sí o con un no quando la questione è molto più complessa e quando, soprattutto, é stato impostato un percorso per venire a capo dei problemi ambientali. Stesso discorso fa il Pd, che peró lascia libertá di voto, mentre grillini e Idv chiedono che i tarantini si esprimano e decidano. Sel di Vendola (presidente della Regione Puglia) propone invece solo un sí, alla chiusura dell'area a caldo. Libertá di voto propone Confcommercio mentre Confagricoltura, che richiama i danni inferti al settore dall'inquinamento dell'Ilva, chiede un doppio sí alla chiusura, al contrario invece di Coldiretti, per la quale un problema cosí complesso e di rilievo nazionale non si liquida con un sì o un no. E l'Ilva? Ha detto giorni fa il presidente Ferrante a "Il Sole 24 Ore": «É giusto che i tarantini si pronuncino. Seguiremo e rispetteremo il voto. Se dovessero vincere i sí? Altri, non noi, devono fare le valutazioni. Noi, come azienda, abbiamo solo un dovere: rispettare la salute, l'ambiente e il lavoro, rispettare le regole e la legge, evitare che l'Ilva sia una presenza ingombrante».

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