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Questo articolo è stato pubblicato il 20 aprile 2013 alle ore 08:19.

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Un danno annuale di 4,5 miliardi in Europa oltre che gravi conseguenze sull'occupazione nelle zone rurali della Ue. Pende una spada di Damocle sulla testa dei produttori di agrofarmaci, i quali guardano con molta apprensione a quello che sarà deciso dalla Ue sul fronte dei neonicotinoidi. Gli insetticidi sistemici sono da tempo al centro dell'attenzione perché ritenuti causa della moria delle api.

La prima proposta di sospensione del loro uso – arrivata a metà marzo da Tonio Borg, commissario Ue alla Salute – non ha passando l'esame: serviva una maggioranza qualificata che non è stata raggiunta considerando che a supporto dello stop si sono schierati 13 Paesi su 27. A pesare sul risultato è stata l'astensione di Paesi come Germania, Gran Bretagna, Romania e Finlandia.

Il 29 aprile il Comitato d'appello riesaminerà la questione. E se neanche stavolta si trovasse l'accordo la Commissione potrebbe anche decidere d'imperio.
«Su questo tema auspichiamo dalle autorità una risposta che sia in linea con le attese dell'agricoltura italiana. Il parere che l'Italia è chiamata a esprimere a Bruxelles deve essere fondato su dati scientifici e oggettivi», afferma Andrea Barella, presidente di Agrofarma, l'associazione nazionale imprese agrofarmaci, che fa parte di Federchimica. «La questione – aggiunge Barella – è che ancora non si vuol tener conto delle evidenze scientifiche, e cioè che la moria delle api ha origini di tipo multifattoriale. Addebitare la causa prevalentemente o, addirittura, esclusivamente all'utilizzo di neonicotinoidi è sbagliato e non trova riscontro nei dati a oggi disponibili».

Lo stop ai neonicotinoidi trova quindi la forte opposizione delle imprese italiane produttrici di agrofarmaci, il cui giro d'affari va oltre gli 800 milioni. In termini di mercato, l'Italia è al sesto posto nel mondo e al terzo in Europa, dopo Germania e Francia. L'investimento in ricerca e sviluppo si aggira attorno al 6% del fatturato.
Nonostante questo, imprese e livelli istituzionali non sono andati di pari passo. L'Italia, infatti, aveva votato sì alla proposta restrittiva che, sostanzialmente, prevedeva l'utilizzo dei neonicotinoidi solo nei trattamenti fogliari post fioritura. «Voglio far presente – precisa Barella – che la normativa italiana è già molto più restrittiva rispetto a quella di altri Paesi. Da noi, dal 2008, è in vigore una sospensione cautelativa dell'utilizzo dei neonicotinoidi per la concia delle sementi». Insomma, un divieto «che non deve essere esteso ad altri impieghi, quali le applicazioni al suolo e i trattamenti fogliari».

In questo senso, Agrofarma richiede che l'unica stella polare da seguire sia quella delle evidenze scientifiche. «I neonicotinoidi, come tutti gli agrofarmaci – riporta l'associazione in una nota – sono introdotti sul mercato a seguito di un rigoroso iter di autorizzazione, volto a garantirne il rispetto di rigidi parametri di compatibilità ambientale». Se utilizzati dunque «secondo le buone pratiche agricole e le raccomandazioni riportate in etichetta, quindi, non provocano effetti dannosi alle api».

Dall'altra parte ci sono poi gli effetti pratici di un eventuale stop. «In Italia – scrive Agrofarma – la produzione di mais ha subìto un decremento del 19% negli ultimi 5 anni, con un danno economico che oscilla tra i 150 e i 200 milioni; tra le cause di questa perdita vi è l'aggravarsi delle infestazioni di parassiti». A fronte dell'origine multifattoriale della moria delle api dunque, occorre fare attenzione a «una situazione che verrebbe compromessa ulteriormente se venissero vietate anche le applicazioni al suolo», con «il drastico aumento delle importazioni di mais di origine extra Ue»

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