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Questo articolo è stato pubblicato il 26 aprile 2013 alle ore 06:48.

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PESCARA
Da "Ombrina Mare 2" al largo delle coste abruzzesi non si estrae petrolio, così come da "Eleonora" in Sardegna non si prende gas. Cercare e tirar fuori oil e gas dai progetti in fase di sviluppo in Italia è una corsa ad ostacoli. Il sito abruzzese, preso come simbolo da chi si oppone alla presenza di trivelle nel territorio italiano e contro il quale è stata organizzata una manifestazione di protesta lo scorso 14 aprile, è l'ultimo dove si è scoperta la presenza di petrolio negli ultimi cinque anni nel territorio italiano. Eppure non si estrae nulla. «In qualsiasi altra parte del mondo, la produzione sarebbe già partita», si rammarica Sergio Morandi, a.d. e direttore generale della Medoilgas Italia, società titolare della concessione. La Strategia energetica nazionale, il documento messo a punto dal governo Monti e approvato da un decreto interministeriale lo scorso 8 marzo, si è posto, tra gli altri, anche l'obiettivo di togliere il tappo alla ricerca di idrocarburi in Italia. Uno dei target indicati dal documento è il raddoppio della produzione di oil e gas al 2020. In pratica si tratta di tornare ai livelli degli anni '90, partendo dagli attuali 24 milioni di barili di olio equivalente di gas all'anno e 57 di olio, portando da circa 7 a 14% il contributo al fabbisogno energetico totale.
Negli ultimi anni l'attività di ricerca ha, però, vissuto una fase di stallo. Al 31 dicembre 2012, in base al Rapporto annuale 2013 della Direzione per le Risorse minerarie ed energetiche del Ministero dello Sviluppo economico, risultano vigenti 115 permessi di ricerca (94 in terraferma e 21 in mare), cioè il 5% in meno rispetto al 2011, e 200 concessioni di coltivazione, una in più rispetto all'anno precedente. Quello che emerge dal Rapporto del Ministero è che l'attività degli operatori è quasi esclusivamente orientata all'ottimizzazione dello sviluppo dei giacimenti già noti (sufficienti comunque a raggiungere il target fissato al 2020), piuttosto che alla ricerca di nuove risorse. Negli ultimi cinque anni sono stati perforati 187 pozzi, di cui solo 18 di tipo esplorativo. Una tendenza al ribasso ancora più marcata rispetto al picco degli anni '90 se si guarda in particolare all'offshore, dove tra il 2008 e il 2012 sono stati realizzati solo 3 pozzi esplorativi, di cui nessuno negli ultimi 4 anni. La scarsa attività di ricerca si riflette sui ritrovamenti. Sempre negli ultimi cinque anni, solo 6 pozzi hanno avuto esito positivo (5 a gas e uno a olio, "Ombrina Mare 2").
Ma a cosa si deve la scarsa esplorazione in Italia? L'analisi del Rapporto della Direzione per le Risorse minerarie è chiaro: «la limitata attività di ricerca è dovuta soprattutto alla difficoltà e ai lunghi tempi necessari per il rilascio del titolo e della necessaria autorizzazione alla perforazione», si legge. Una situazione che «impedisce il reintegro delle riserve e la scoperta di nuovi giacimenti, ancora possibile in alcune aree». Un esame che si ritrova anche nel documento della Strategia energetica nazionale, che sottolinea come «i tempi di attesa autorizzativa arrivano ad essere fino a 10 volte quelli previsti dalla normativa». Una situazione che riguarda sia l'esplorazione che la produzione.
Si prenda ad esempio proprio "Ombrina Mare 2". Il ritrovamento al largo delle coste abruzzesi risale al 2008 e la presentazione dello Studio di impatto ambientale (Sia) al ministero dell'Ambiente per l'avvio dell'estrazione al dicembre 2009. Al momento la produzione non è ancora avviata. «Noi speriamo di partire nel 2017, al massimo nel 2018», spiega Morandi, a.d. e direttore generale della Medoilgas Italia, cioè più di 7 anni dopo la presentazione del Sia. Per avviare la produzione mancano ancora i decreti Via del Ministero dell'Ambiente e quello finale dello Sviluppo economico. Una volta ottenuti, la società potrà iniziare la produzione stimata in 5.000 barili di petrolio al giorno, arrivando nei momenti di picco fino a 10.000, visto che il potenziale totale è stimato in 40 milioni di barili. «Si tratta di un incremento della produzione nazionale compresa tra l'1 e il 2%», stima Morandi. Oltre ai contributi al fabbisogno nazionale, bisogna considerare i 300 milioni di investimenti e i 700 milioni di fiscalità generata sempre nell'arco di vita del giacimento. «Credo che - aggiunge Morandi - se la Strategia energetica non sarà assecondata da provvedimenti di semplificazione e snellimento su competenze e autorizzazioni sarà molto difficile rilanciare la produzione di idrocarburi».
Non tutti i segnali, però, sono negativi. Lo scorso anno si è registrato un aumento della produzione del 2% sia di gas che di olio. In sostanza, nel 2012 l'Italia ha prodotto poco più di 8,5 miliardi di metri cubi di gas e 5,3 milioni di tonnellate di olio. Una quota che riesce a soddisfare solo in piccola parte il fabbisogno nazionale e che spinge il nostro Paese a importare circa il 90% degli idrocarburi di cui necessita, con un peso sulla fattura energetica di circa 60 miliardi di euro.
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