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Questo articolo è stato pubblicato il 29 aprile 2013 alle ore 11:00.

Il 21 febbraio scorso esce come un fulmine a ciel sereno la notizia sul quotidiano Kommersant che la Corte arbitrale di Stoccolma ha ordinato alla società del gas ucraina Naftogaz di onorare un contratto con il trader del gas italiano, Italia Ukraina Gas Spa (IUGAS), stipulato ben dieci anni prima, il 24 dicembre 2003, e di mettergli a disposizione 13,1 miliardi di metri cubi di gas a prezzi del 2003, 110 dollari per mille metri cubi.
Una mazzata economica per gli ucraini, visto che attualmente Naftogaz acquista dalla Russia il gas a 416 dollari per mille metri cubi, quindi l'esecuzione della sentenza equivarrebbe a una perdita potenziale di 3,9 miliardi di dollari.
Il contratto in questione venne firmato a Kiev dieci anni fa dal vicepresidente di Naftogaz, Igor Voronin, e dal plenipotenziario della società italiana Andrea Miele. A quel tempo l'Ucraina riceveva gas turkmeno a 50 dollari per mille metri cubi, un prezzo che avrebbe consentito al monopolista ucraino di guadagnare su queste forniture 780 milioni di dollari all'anno, una bella sommetta.
Ma nel 2004-2005 non venne fatta nessuna fornitura. Gli ucraini diedero la colpa agli italiani accusandoli di non avere i necessari accordi con la società slovacca Spp; gli italiani accusarono a loro volta gli ucraini di ritardare le forniture. Nel frattempo scoppiò la guerra del gas tra Ucraina e Russia nel 2006 e il panorama economico del mercato cambiò completamente tra incredibili colpi di scena.
E arriviamo ai giorni nostri. Naftogaz ufficialmente non ha voluto rilasciare commenti alla sentenza, ma ha fatto trapelare, attraverso il giornale Kommersant, che non intende rispettare l'arbitrato finché non sarà ratificato da un tribunale ucraino. Inoltre Naftogaz ha fatto presente che il partner italiano non era tecnicamente in grado di ricevere il gas e che Iugas non aveva possibilità di garantire la vendita.
A quel punto gli ucraini avevano proposto un compromesso sul prezzo di vendita, ma la società italiana oppose un rifiuto categorico. Infine Naftogaz ha rivelato che il contratto non era stato archiviato in modo corretto nel registro dei contratti della società stessa e quindi non era da considerarsi operativo a tutti gli effetti. Tutte deduzioni che però sono state respinte. A questo punto Naftogaz è pronta a fare un nuovo ricorso davanti alla Corte suprema di Svezia.
In risposta il presidente della società italiana, Marco Marenco, ha presentato dei dati secondo cui l'azionista del gruppo Fisi vende fino a 4,5 miliardi di metri cubi in Italia e ha tutte le possibilità di vendita del combustibile. Effettivamente, però, senza la ratifica di un tribunale ucraino dell'arbitrato svedese, Iugas non può obbligare Naftogaz a eseguire le forniture. Ma il trader italiano potrebbe chiedere il pignoramento delle proprietà Naftogaz all'estero.
In contemporanea è scattata una richiesta di danni verso Naftogaz per 7 miliardi di dollari avanzata dalla russa Gazprom per un altro contenzioso. Una manovra a tenaglia italo-russa. Per questo alcuni osservatori si sono chiesti se Iugas non sia di proprietà di Gazprom (ipotesi negata ovviamente dagli italiani) e hanno fatto notare come la sentenza di Stoccolma giochi a favore del monopolista russo nelle difficili trattative sulla creazione di un consorzio per il trasporto del gas in Ucraina, una decisione che di fatto metterebbe in mano ai russi di Gazprom i gasdotti ucraini eliminando ogni residua influenza di Kiev.
L'entità dei danni da pagare sulla base delle due sentenze, italiana e russa, potrebbe costringere gli ucraini a cedere alla Russia nella lunga guerra per il controllo delle condutture e a mettere fine alla guerra del gas, con gli italiani nella parte di ago della bilancia.
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