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Questo articolo è stato pubblicato il 07 maggio 2013 alle ore 06:45.

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C'è il robot per il taglio laser nuovo di zecca. E poi centri di lavoro, fresatrici, macchine transfer. Persino un impianto completo per produrre cartone, oppure una flotta di cinque pescherecci, attualmente ormeggiati in Senegal.
Visitare il sito di Industrial Discount, casa d'aste faentina specializzata in macchinari industriali e immobili, è una sorta di corso accelerato nella crisi del Paese. In bella mostra, nella vetrina online, c'è la misura esatta del disagio, quel che resta degli attivi patrimoniali di decine di aziende, sogni imprenditoriali infranti a volte per errori strategici, più spesso di questi tempi per la mancanza di ordini e commesse.

Beni che diventano carburante prezioso per chi prova a valorizzarli al massimo cercando compratori sul mercato. «Come andiamo? Cresciamo tantissimo – ci racconta l'ad di Industrial Discount Renato Ciccarelli – quest'anno abbiamo già venduto quattro milioni di macchinari».

Lo sviluppo del business, avviato nel 2011, è esponenziale, con un organico salito da due a 11 persone mentre le aste gestite sono passate da 40 a 250 l'anno con un budget di oltre 300 nel 2013.

Situazione analoga è sperimentata dal colosso del settore, la casa d'aste industriali Ritchie Bros, forte di un fatturato mondiale di 3,9 miliardi di dollari e di ricavi italiani arrivati a 68 milioni di euro, in crescita del 17% rispetto al 2011.

«Prima della crisi – chiarisce il regional manager di Ritchie Bros Italia Fabio Orlandi – il fatturato legato a fallimenti e concordati era nell'ordine dei cinque milioni, ora siamo arrivati a quota 18».

La prossima asta si terrà giovedì a Caorso, con oltre mille compratori già iscritti, interessati ad un macchinario, ad un mezzo di trasporto, oppure una ruspa o un muletto da magazzino, «ne vendiamo spesso di nuovi», aggiunge Orlandi. Il catalogo di giovedì è sterminato, 105 pagine di macchinari e mezzi di trasporto, per un controvalore di 12 milioni di euro, vicino al record storico realizzato lo scorso anno.

«Per noi – aggiunge Orlandi – lo sviluppo dimensionale è stato notevole e abbiamo quasi triplicato da tre a otto unità il nostro ufficio commerciale, mai come ora purtroppo c'è un'offerta crescente di beni in questo settore, con fallimenti e concordati ad alimentare le aste». Per Ritchie Bros il compratore tipico non è italiano e i beni in asta finiscono oltreconfine nel 60% dei casi, così come accade per Industrial Discount. «In effetti – spiega Ciccarelli - i compratori esteri sono la maggioranza, qui da noi è evidente la mancanza di fiducia e la difficoltà a voler investire. Ecco perché è più facile vendere pezzi singoli, mentre l'intera attività difficilmente si riesce a ricollocare, anche se dal punto di vista industriale sarebbe senz'altro questa la soluzione più opportuna. Ma in questo momento nessuno si vuole prendere il rischio di ripartire».

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