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Questo articolo è stato pubblicato il 17 maggio 2013 alle ore 06:47.

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Gli operatori del settore non la chiamano neanche più crisi: la considerano la nuova situazione del mercato. E cercano di reagire puntando sull'export. Mentre Ucina, la Confindustria nautica, pensa anche a trovare una soluzione per il costo del lavoro è sta preparando un'ipotesi di contratto unico per la nautica. Dopo anni di grandi numeri, in cui il fatturato della nautica italiana, che era e resta leader mondiale nella produzione di megayacht, cresceva ogni anno a due cifre, il 2009 ha segnato il momento della caduta. E il Salone nautico di Genova dell'ottobre 2008 ne era stato la cartina tornasole, con un blocco totale delle vendite. Da allora, per il mercato nazionale e per gran parte di quello europeo, non c'è stata più ripresa, se non qualche blando segnale positivo, poi risoltosi in delusione. Fino ad arrivare al 2012, che è stato uno degli anni peggiori nella storia moderna del comparto, con un fatturato globale stimato da Ucina tra 2,5 e 2,8 miliardi, in calo rispetto al 2008 tra il 57% e il 59 per cento. Considerando, poi, la sola cantieristica, che conta circa 150 aziende con 10.200 addetti diretti (su 20mila del comparto nautico), si vede che il valore del fatturato 2012 è stimato tra 1,6 e 2 miliardi; nel 2008 era pari a 3,8 miliardi e gli addetti della cantieristica erano 20.400.
Nonostante questa situazione, l'ultima edizione di Showboats International, che stila la classifica mondiale dei produttori di superyacht, mostra gli italiani ancora in cima all'elenco con Azimut-Benetti, Ferretti e Sanlorenzo. Se però si analizza il numero di progetti in orderbook, si nota che i 523 ordini a cantieri italiani del 2009, rovinano a 272 nel 2013. Cresce vertiginosamente, per contro, la quota di produzione destinata all'estero che, nel 2012, è salita all'85%, mentre quella nazionale è al 15 per cento. Nel 2011 i dati erano, rispettivamente, 79% e 21% e, nel 2008, 53% l'export e 47% la produzione per l'Italia. Insomma, il mercato nazionale si è dissolto. E anche per questo il prossimo Salone Nautico di Genova durerà solo cinque giorni al posto dei tradizionali nove.
Tra il 2011 e il 2012, a fronte della terribile crisi che ha colpito i produttori, in particolare di barche di medie dimensioni, anche i gruppi che costruiscono megayacht sono stati scossi. Ferretti ha dovuto cercare una nuova proprietà per sanare i bilanci ed è passato al colosso cinese Shig-Weichai; Salonrenzo ha proceduto, nel 2011, a un aumento di capitale da 30 milioni, con il quale il Fondo strategico italiano è entrato per il 20% nell'azienda; Azimut ha dovuto chiudere, nel 2012, il sito produttivo di Sariano Gropparello (Piacenza) e quello di Bursa, in Turchia, per varare,poi, un piano d'investimenti triennale da 29 milioni.
Ma sul comparto si sono abbattute anche scelte sbagliate del governo Monti. In primis, quella di annunciare, nel 2011, una tassa di stazionamento per gli yacht nei porti nazionali, corretta poi in tassa di possesso. Ma solo dopo sei mesi d'incertezza legislativa, in cui gli armatori italiani e stranieri hanno portato le barche via dai nostri scali. Un pasticcio per cui il governo Monti ha chiesto scusa e che ha parzialmente compensato varando una serie di misure per la nautica, richieste da tempo da Ucina. Ad esempio quelle per rendere più equo il calcolo del valore di uno yacht sul redditometro; o il bollino da applicare alle barche già sottoposte a controlli, per evitare il moltiplicarsi di verifiche da parte di capitanerie e forze dell'ordine.
«Questi ed altri provvedimenti a favore della nautica – afferma Anton Francesco Albertoni, presidente di Ucina – aiuteranno certamente il comparto, ma ci vorrà del tempo. Intanto gli imprenditori combattono col pugnale tra i denti per guadagnare nuovi mercati, visto che quello italiano è scomparso e anche l'Europa stenta a riprendersi. Certo, ci sono segnali forti, come l'acquisto di Nuovi Cantieri Apuania da parte dell'Italian Sea Group di Giovanni Costantino. Tuttavia la situazione resta difficilissima, specie per chi costruisce barche tra i 100mila e i 500mila euro, i cui clienti sono quelli più in sofferenza».
Per cercare nuove soluzioni ai problemi della nautica e anche quello del costo del lavoro in Italia, prosegue Albertoni, «riteniamo ci voglia un contratto unitario della nautica, che includa tutti lavoratori del settore che, oggi, operano sotto i contratti più disparati, da quello dei metalmeccanici a quello chimico-plastico. Il nuovo contratto dovrà avere più elasticità degli altri e tenere conto della stagionalità del prodotto, che richiede periodi di lavoro più intensi e meno intensi. Stiamo raccogliendo dati tra i nostri associati sui contratti attualmente in essere, per arrivare aprire un tavolo col ministero competente».
Intanto, i produttori si concentrano sul l'export. «Andiamo a fare fatturato – afferma Giovanna Vitelli, al vertice di Azimut – dove c'è domanda. E questa è ripresa, ad esempio negli Usa e, in generale, nelle Americhe, dove abbiamo il 50-55% dei ricavi. Poi ci sono la Russia, il Medio Oriente, la Cina, dove però la nautica stenta a partire. In area europea reggono solo i Paesi scandinavi e la Turchia». Anche secondo Ferruccio Rossi, ad di Ferretti, «le Americhe stanno danno delle soddisfazioni, Usa compresi, che nel recente passato hanno sofferto. In Asia c'è una crescita ma il mercato oggi ancora piccolo. Mentre l'Europa è in decrescita e non dà segni di ripresa; soffrono soprattutto i mercati d'Italia, Spagna e Grecia». Fulvio Dodich, ad di Sanlorenzo conferma che «da inizio 2013, Usa e America Latina hanno avuto un risveglio e rappresentano il 35% del nostro fatturato. Poi c'è l'area Asia-Pacifico, con un altro 35%, e il restante 30% si divide tra bacino del Mediterraneo e Paesi del Golfo».

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