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Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2013 alle ore 06:46.

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Teniamoci stretto il manifatturiero che c'è, perchè è impensabile, in questo momento, puntare a creare nuove realtà industriali e produttive. È il messaggio lanciato nei giorni scorsi dal neoministro alle Attività produttive, Flavio Zanonato, in visita agli stabilimenti del gruppo Beltrame, realtà da 3,5 milioni di tonnellate d'acciaio in provincia di Vicenza. Non è un caso che il richiamo di Zanonato abbia avuto per oggetto l'industria siderurgica e, in particolare, il gruppo Beltrame. La realtà vicentina, dopo avere interrotto l'attività a Porto Marghera, nelle scorse settimane ha annunciato la decisione di chiudere anche l'acciaieria di San Didero (Torino). Nei giorni scorsi la parziale marcia indietro, con l'impegno, ufficializzato al tavolo del Mise, a non ricorrere ai licenziamenti per il 2013.

Beltrame ha inoltre indicato la necessità di verificare con il ministero del Lavoro la possibilità di utilizzare un ulteriore periodo di Cigs per ristrutturazione, sia per quanto riguarda il sito piemontese che per quello posseduto dal gruppo a San Giovanni Valdarno (Arezzo). In questo momento, a suo modo, Beltrame è una sorta di punta dell'iceberg di un «asse del nord» che oggi vede il proprio radicamento territoriale, insieme alla propria capacità di generare reddito e posti di lavoro, messi in discussione da una crisi che morde da più di 4 anni, e che non accenna a mollare la presa. Non è solo il destino degli ex conglomerati statali e dei loro altoforni a preoccupare i policymaker romani. C'è anche un cuore pulsante di realtà di medie dimensioni, un lungo filo di forni elettrici che va da Aosta a Trieste, che dopo anni di ammortizzatori e sacrifici è oggi a corto d'ossigeno. La situazione era stata preconizzata dallo stesso presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, a gennaio, quando aveva affermato che «il comprensorio dei forni elettrici bresciani non è, allo stato attuale, adeguato alle future pressioni competitive».

Oltre a Beltrame, in queste settimane la cronaca ha registato le difficoltà delle Acciaierie di Rubiera, in provincia di Modena: dopo tre anni di solidarietà, l'azienda sta fronteggiando una pesante di crisi di liquidità e punta ad ottenere un anno di Cigs. Vicenda simile a Brescia, dove all'Alfa Acciai (è il maggior produttore italiano di tondo per cemento armato, messo in crisi dalle difficoltà dell'edilizia) è scaduto da poche settimane il quarto anno di solidarietà. Come anticipato dal Sole 24 Ore lo scorso dicembre, ora per l'azienda si pone la necessità di ridimensionamenti strutturali e per questo motivo da qualche giorno – spiegano dalla società – è stata avviata una trattativa con il sindacato, allo scopo di trovare soluzioni il meno impattanti possibile a livello sociale. Numerose altre realtà siderurgiche, in questo momento, stanno utilizzando ammortizzatori sociali: tra queste, solo per citarne alcune, le Acciaierie Stefana in provincia di Brescia, alle prese con Cassa e solidarietà. O il gruppo Pittini (contratti di solidarietà fino a questa estate): lo stesso ad Federico Pittini, deluso dalla mancata realizzazione della linea di elettrodotto Wurmlach-Somplago, aveva annunciato al Sole 24 Ore, nei mesi scorsi, la volontà di «delocalizzare una serie di produzioni».

Molte realtà hanno puntato sull'estero, e hanno trovato un'ancora di salvezza, per i bilanci, nei mercati del Nordafrica. Ma non è sufficiente: la prolungata crisi del mercato interno sta erodendo le capacità di tenuta di queste aziende, peraltro storicamente ben patrimonializzate. «Chiediamo solo maggiore attenzione. Abbiamo bisogno di strumenti che aiutino la crescita del mercato interno, in particolare l'edilizia» spiegano gli imprenditori, a margine dell'assemblea di Federacciai. Anche i costi energetici restano, nell'opinione dei protagonisti, un fattore di sviluppo cruciale.

Nel futuro non sono da escludere aggregazioni. Se ne parla da anni: la strada della semplificazione è però spesso ostacolata dalla struttura familiare delle proprietà coinvolte. Si tratta di un tessuto ancora vivo, realtà capaci comunque, in questi mesi, di programmare investimenti e acquisizioni. L'ultima operazione in ordine di tempo è stata quella di Ilta Inox (Arvedi), che ha raggiunto l'accordo per l'affitto del ramo d'azienda di Chibro (specializzata in componenti idrauliche e navali). Sempre nell'inox, Cogne Acciai speciali ha recentemente investito 3 milioni in un impianto che le permetterà di entrare pesantemente nei settori oil and gas e petrolchimico. E proprio ieri ha annunciato una commessa da 6 milioni di euro: le barre nervate made in Italy sosterranno il ponte più lungo del mondo, che collegherà Hong Kong a Macao.

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