Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 30 maggio 2013 alle ore 06:46.

My24
Giuseppe Recchi (Fotogramma)Giuseppe Recchi (Fotogramma)

ROMA - L'Italia non attrae più gli investimenti esteri come in passato. Le multinazionali, fino a pochi anni fa motori dello sviluppo, oggi si trovano a dover fronteggiare l'eccessiva e mutevole burocrazia, le complesse regole del mercato del lavoro e, non ultimo, una fiscalità pesante e farraginosa. Del tema si è discusso a Roma nella sede di Unindustria: Giuseppe Recchi (presidente dell'Eni e del Comitato investitori esteri di Confindustria) e Maurizio Stirpe (presidente Unindustria) hanno incontrato presidenti, amministratori e dirigenti di 35 aziende a capitale estero.

«Le multinazionali in Italia – ha detto Recchi – hanno oggi circa 1,2 milioni di occupati e rappresentano un fatturato aggregato di 500 miliardi di euro. I loro addetti hanno una mentalità internazionale che contamina il sistema in maniera positiva. In più, sono un fattore di sviluppo per le piccole aziende dell'indotto, che trovano in loro una portaerei per andare all'estero». Per Cesare Avenia, (presidente di Ericsson Telecomunicazioni) è essenziale giungere a una semplificazione del codice del lavoro e rafforzare la contrattazione decentrata, mentre Giuliano Tomassi Marinangeli (Ad di Dow Italia) ha sottolineato le oscurità della legislazione ambientale.

«Il tema delle multinazionali è importante e centrale per le dinamiche di sviluppo del Lazio», ha ricordato Stirpe: la regione è la seconda dopo la Lombardia per numero di multinazionali attive, circa 500. «La burocrazia è asfissiante – ha aggiunto Stirpe – c'è un'incertezza che rende sempre più complicato capire le regole del gioco. Arduo spiegare la razionalità dietro un'imposta come l'Irap, che colpisce le aziende con più addetti». Non è un caso che l'Italia sia dietro a Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna nell'incidenza degli investimenti diretti esteri sul Pil (appena l'1,1% nel 2005-2011). Stirpe ha concluso: «Per un'impresa estera è difficile prendere in considerazione l'Italia, ma anche gli imprenditori italiani sono sempre più tentati dall'andare all'estero».

I rappresentanti delle multinazionali hanno battuto soprattutto sull'incertezza normativa e la legislazione del lavoro troppo rigida. Secondo Alberigo Majatico, direttore del personale Sanofi Aventis (gruppo farmaceutico francese da 35 miliardi e 110mila addetti nel mondo) «All'interno della nostra struttura ci confrontiamo con colleghi francesi e tedeschi. Oltre ai gap di competitività nel costo dell'energia e nel carico fiscale, pesa la burocrazia con l'incertezza e le lungaggini nei tempi di risposta. Nei contratti di lavoro atipici – ha aggiunto – l'obbligo di inserire la causale dell'impiego produce conflittualità giurisdizionale. Non è sempre facile scendere nel dettaglio». «Noi non siamo pentiti del nostro investimento in Italia – ha detto Giovanni Carucci, vicepresidente di British American Tobacco Italia ( sede a Londra, fatturato da 17,5 miliardi e 55mila addetti) –. Ma il paese perde capacità di attrarre. Bisognerebbe far passare il messaggio, nell'opinione pubblica, tra i media e la comunità scientifica, che le multinazionali sono portatrici di crescita». «Per ottenere modifiche nella produzione dobbiamo fare una lunga trafila. Servirebbero tempi ridotti e soprattutto certi», ha affermato Davide Boccacci, direttore del personale di Bristol Myers Squibb (farmaceutica Usa da 16 miliardi di euro di ricavi e 27mila addetti). Riguardo a un eccessivo accanimento nei controlli, Gaetano Scala, capo fiscalità internazionale dell'Agenzia delle Entrate ha assicurato che l'Agenzia sta lavorando per facilitare la collaborazione tra Fisco e multinazionali.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi