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Questo articolo è stato pubblicato il 31 maggio 2013 alle ore 06:50.

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RAGUSA Dal nostro inviato
Un solo dato. Anzi due. Nel 2012 il tasso di disoccupazione in provincia di Ragusa è stato del 19,4 per cento: 11,4 punti in più rispetto al 2004 quando era dell'8 per cento. Numeri che più danno l'idea di cosa oggi sia questa provincia un tempo considerata tra le più ricche e più vive del Paese e negli ultimi anni appare piegata da una crisi che è soprattutto crisi dell'agricoltura e del polo ortofrutticolo. Cosa possa significare per la Sicilia e per l'Italia il polo ragusano è presto detto: secondo alcune stime si contano circa 6mila imprese e 150mila addetti in un'area che va da Campobello di Licata (Agrigento) fino a Pachino (Siracusa). Insomma un settore che va oltre la provincia di Ragusa dove si trovano i grandi mercati ortofrutticoli: ogni notte partono circa 500 Tir. In altri tempi i prodotti ragusani non avevano praticamente concorrenza. «Oggi non è più così – dice Giovanni Denaro, al vertice della Fiera Emaia di Vittoria che è poi l'unica struttura fieristica in Sicilia – la crisi è ormai fortissima, i dati sulla disoccupazione dimostrano che le cose sono molto cambiate. È difficile dare i dati precisi anche perché le famiglie gestiscono tutto in economia e non si rendono spesso conto di rischiare la morte economica».
Un'analisi un po' più accurata fatta da Renata Giunta, ricercatrice della Fondazione Res, spiega meglio la situazione: «L'aumento della disoccupazione – dice la ricercatrice – è ovvio considerato che Ragusa e Siracusa sono le due province siciliane che maggiormente dipendono dal privato e che hanno dunque risentito della crisi economica. Per quanto riguarda l'agricoltura possiamo dire che il settore è strutturalmente in evoluzione e che ci si è resi conto che non è più possibile fare agricoltura per hobby né sono più consentite attività speculative. E ciò, dopo l'anno nero del settore che è stato il 2010, porterà a una selezione e a un miglioramento». Settore, quello agricolo, che certamente avrebbe più benefici dalla modernizzazione del collegamento tra Catania e Ragusa ma che nell'apertura dell'aeroporto di Comiso avvenuta ieri intravede possibili sviluppi. È l'occasione per riflettere sul futuro: «Forse – dice ancora Renata Giunta – nell'immediato lo scalo non porterà benefici diretti al settore agricolo ma nel medio-lungo sicuramente sì, quantomeno per ragioni di marketing». Ne potrebbe avere di maggiori se vi fosse, per esempio, una migliore integrazione tra la filiera agricola e quella turistica. Intanto può raccogliere buoni frutti chi fa attività fieristica: «Per noi – dice Denaro che nella fiera campionaria d'autunno è riuscito a portare a Vittoria 250mila persone – cambia la prospettiva: prima eravamo una fiera di rilevanza locale ora invece possiamo pensare a qualcosa di diverso. La fiera può essere un riferimento per i mercati dell'Est e del Nord Africa e aiutare il sistema locale».
Può crescere anche il turismo nella terra del Commissario Montalbano: pur in presenza di cinque villaggi turistici che hanno circa seimila posti letto e di numerosi alberghi, il tasso di occupazione medio durante l'anno «è del 30 per cento – spiega Enzo Taverniti, presidente di Confindustria Ragusa oltre che della Sac che controlla la società di gestione dell'aeroporto di Comiso (Soaco) – ed è su questo che bisogna molto lavorare. L'aeroporto è un'opportunità ma è fuori e bisogna mettersi all'opera». Per far trovare un tessuto accogliente e preparato ai circa 200mila passeggeri che la grande compagnia di low cost si è impegnata a portare da queste parti ogni anno e che su questo è pronta a prendere impegni scritti: il contratto potrebbe essere firmato nei prossimi giorni. Ma per tutto ciò, come dice il presidente della Piccola industria di Confindustria Sicilia Giorgio Cappello, «serve un piano industriale: va fatto un lavoro con le associazioni e con le istituzioni per arrivare a definire i prossimi passi». Ragusa nel 2012 ha totalizzato 700mila presenze ma, dice il presidente della Soaco Rosario Dibennardo «ora possiamo pensare a uno sviluppo vero del settore».
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