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Questo articolo è stato pubblicato il 01 giugno 2013 alle ore 08:36.
ROMA
Il caso Ilva non è approdato al consiglio dei ministri ma inevitabilmente ha conquistato ampio spazio al tavolo della siderurgia che si è svolto al ministero dello Sviluppo economico.
Il governo ha ribadito la volontà di chiudere il dossier entro l'assemblea del 5 giugno, senza entrare comunque nel dettaglio delle soluzioni per il salvataggio. Tuttavia, dietro le quinte, si starebbe studiando anche la fattibilità di un "blind trust" in cui la famiglia Riva (sempre che sia disponibile) potrebbe conferire la maggioranza della holding Riva Fire spa oggetto del maxisequestro del Gip di Taranto (beni, conti e quote societarie per 8,1 miliardi). Il "blind trust" avrebbe lo scopo di favorire un possibile dissequestro delle risorse della capogruppo, di fatto la tesoreria di tutta la catena aziendale, consentendo all'eventuale commissario di agire garantendo investimenti e continuità produttiva delle imprese a valle.
Nel frattempo, l'ad dell'Ilva Enrico Bondi (le sue dimissioni saranno all'esame dell'assemblea del 5 giugno) ha depositato al tribunale del Riesame di Taranto richiesta di revoca del sequestro (si veda altro articolo in pagina). Il "blind trust" è un'ipotesi tecnica, trapela da fonti di governo, che ovviamente diverrebbe realmente percorribile solo di fronte a una reale apertura dei Riva. La sensazione infatti è che il governo non voglia forzare la mano verso interventi che in forma più o meno velata possano esporsi a critiche di esproprio o provvedimenti ad esso simili. Ieri il sottosegretario allo Sviluppo, Claudio De Vincenti, ha definito «proprio sbagliato» il termine nazionalizzazione. Si ragiona – ha aggiunto – «su come si può coniugare in una logica non di nazionalizzazione, non di esproprio ma di un'amministrazione straordinaria che affronti l'emergenza industriale, occupazionale e ambientale. Per fare questo stiamo studiando lo strumento migliore». Ben altri i concetti espressi da Luigi Angeletti, segretario generale della Uil, che prima del tavolo di settore ha avuto un incontro ristretto con il ministro Flavio Zanonato insieme agli altri leader sindacali Susanna Camusso (Cgil) e Raffaele Bonanni (Cisl). «Se l'Ilva tornasse allo Stato – ha osservato Angeletti – non sarebbe una scelta sbagliata. L'alternativa è chiuderla: ancora peggio. L'unico altro proprietario che io vedo è Saccomanni (ministro dell'Economia, ndr)».
L'Ilva rappresenta in maniera assolutamente evidente solo la punta dell'iceberg. La siderurgia italiana attraversa una crisi drammatica, come dimostrano anche i casi di Acciaierie Speciali Terni e Lucchini, affrontati al tavolo di ieri. Alla riunione, oltre a Zanonato e De Vincenti, hanno partecipato il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, i vertici di alcuni tra i principali gruppi siderurgici (Marcegaglia, Lucchini, Arvedi, Dalmine) e i segretari nazionali di Fim (Marco Bentivogli), Fiom (Maurizio Landini), Uilm (Rocco Palombella). Per Squinzi è un fatto positivo l'«attenzione del governo» sulla siderurgia perché è un «settore vitale. Ma servono azioni rapide». Per i sindacati, potrà rivelarsi efficace la scelta di affrontare l'emergenza acciaio in un'ottica di sistema Paese.
Dal canto suo il ministero si è impegnato a sostenere «in tutte le sedi, a partire dal prossimo appuntamento europeo dell'11 giugno, politiche concrete di sostegno alla siderurgia italiana». In gioco c'è l'Action Plan che potrebbe mettere in gioco risorse preziose, in particolare attingendo al Fondo sociale europeo. «È essenziale – commenta Gozzi – che l'Italia sostenga in sede europea una posizione favorevole a interventi per mitigare gli effetti sociali delle ristrutturazioni del settore».
Una commissione ristretta lavorerà adesso alla stesura di un protocollo, che sarà pronto entro la metà di giugno. Costo dell'energia, infrastrutture e logistica, tutela dell'ambiente sono i temi in agenda, confidando che nel frattempo si trovi una soluzione al rompicapo Ilva.
@CFotina
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