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Questo articolo è stato pubblicato il 12 giugno 2013 alle ore 16:28.

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Ilva Taranto ferma l'altoforno e l'acciaieria. In 2mila a casa da luglio

Ai primi di luglio l'Ilva di Taranto avrà 2mila degli 11mila addetti complessivi fuori dal ciclo produttivo. Sono esuberi temporanei dovuti alla crisi di mercato dell'acciaio e al calo della domanda. Dopo che l'azienda, nei giorni scorsi, ha fermato di nuovo il Treno nastri 1 (250 unità), adesso si rende necessario bloccare anche l'altoforno 2, l'acciaieria 1, nonchè serie di attività collegate come l'agglomerato e i sottoprodotti. In totale, coinvolti altri settecento-ottocento dipendenti. In particolare l'altoforno 2 si fermerà per tre mesi. Non ci sarà cassa integrazione ma si utilizzeranno i contratti di solidarietà.

Èquesto, infatti, l'ammortizzatore sociale che Ilva e sindacati hanno scelto a marzo, con un accordo al ministero del Welfare, per gestire il delicato momento in cui il ridimensionamento degli ordini si incrocia temporalmente con i lavori di risanamento previsti dall'Autorizzazione integrata ambientale, lavori che appunto prevedono che si fermino gli impianti dell'area a caldo soggetti a rifacimento. E' già accaduto, ai primi di dicembre, per l'altoforno 1 e per un gruppo di batterie delle cokerie. L'altra fermata importante è prevista all'inizio dell'estate 2014 quando sarà spento, anche qui per lavori, il grande altoforno 5. Solo che ora lo stop dell'altoforno 2 cambia un po' il ruolino di marcia. L'Ilva ha detto ai sindacati metalmeccanici, incontrati stamattina, che approfitterà di questa fermata per anticipare i lavori dell'Aia che avrebbe dovuto fare più in là su quest'impianto. L'azienda spera che prima o poi il mercato riparta e si riprenda in modo da avere in quel momento uno stock di altiforni riammodernati e pronti a produrre. Si vedrà.

Dopo la discussione di oggi, Ilva e sindacati si sono aggiornati al 19 giugno ma non sembrano esserci complicazioni a proposito della nuova fermata. Oltretutto a metà marzo i contratti di solidarietà erano stati sottoscritti per 3749 unità nel 2013 ma sinora sono stati usati per poco più di un migliaio di addetti. Come dire che le parti già prefiguravano un più ampio utilizzo di quest'ammortizzatore sociale. Nel caso specifico, poi, nella "solidarietà" ruotano tutti gli 11mila addetti di Taranto e ciò consente di "spalmare" su più persone gli effetti della crisi. Inoltre, rispetto alla cassa integrazione straordinaria, che era la prima soluzione cui l'Ilva aveva pensato tant'è che l'aveva proposta per un massimo di 6400 unità nel 2014, i contratti di solidarietà si rivelano meno penalizzanti, sotto l'aspetto economico, per i lavoratori interessati.

E intanto oggi gli 11mila dipendenti del sito di Taranto hanno potuto riscuotere in banca lo stipendio di maggio. Già da qualche giorno, per la verità, era certo che gli stipendi sarebbero stati pagati e che non avrebbe creato ripercussioni il sequestro da 8 miliardi di euro sui beni e sui conti della capogruppo Riva Fire ordinato dal gip lo scorso 24 maggio per i danni ambientali provocati dall'inquinamento del siderurgico. Tuttavia, aver potuto materialmente ritirare i soldi della retribuzione per molti ha costituito quella certezza e quella garanzia che si aspettava.

Disinnescata la mina stipendi, lo scenario della fabbrica resta comunque denso di punti interrogativi. Ce ne sono almeno tre: che ne sarà del mercato, visto che la fermata annunciata oggi coinvolge una parte non irrilevante dello stabilimento; come e soprattutto con quali mezzi finanziari andranno avanti i costosi lavori di risanamento ambientale ordinati dall'Aia; infine, come evolveranno sia la battaglia giudiziaria contro il sequestro da 8 miliardi, sia il dibattito parlamentare per la conversione in legge del decreto 61, quello approvato il 4 giugno dal Governo che commissaria di fatto l'Ilva affidandola ad Enrico Bondi, già ad dell'azienda. Proprio contro l'ordinanza di sequestro del gip, domani a Taranto, davanti al Tribunale del Riesame, riprende il "duello" tra Procura e avvocati dell'azienda, tra i quali adesso c'è anche Franco Coppi, il penalista romano noto negli ultimi tempi per aver difeso, proprio a Taranto, Sabrina Misseri, accusata di aver ucciso insieme alla madre la quindicenne di Avetrana, Sarah Scazzi, e per questo condannata all'ergastolo in primo grado.

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