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Questo articolo è stato pubblicato il 22 giugno 2013 alle ore 08:21.
PARMA
Non c'è in Italia luogo più emblematico del Centro ricerche di Chiesi Farmaceutici a Parma per raccontare l'eccellenza nazionale dell'industria del farmaco e l'urgenza di politiche che salvaguardino un patrimonio manifatturiero che il Paese non si può permettere di disperdere. Quello di Chiesi è il più grande sito di R&S lungo lo Stivale, 420 ricercatori al lavoro, 200 milioni di euro investiti ogni anno (il 18% dei ricavi, il doppio della media europea) e 20 brevetti prodotti. Ed è qui che Farmindustria ha organizzato ieri la terza tappa del tour itinerante con cui mira a sensibilizzare il sistema-Paese sulla "produzione di valore" che il settore rappresenta e sulla sua preoccupante sofferenza (11.500 addetti persi dal 2006), dopo anni di misure discriminatorie.
«Noi rappresentiamo più di 200 imprese al top per propensione all'innovazione e all'export che vogliono continuare a investire in questo Paese, ma non possiamo più permetterci di essere l'unico settore che si fa carico dei tagli alla spesa pubblica», esordisce Lucia Aleotti, vicepresidente Farmindustria con delega allo Sviluppo industriale. Con 1,2 miliardi investiti ogni anno in R&S, ossia il 12% degli investimenti totali del manifatturiero, l'industria italiana del farmaco – 174 stabilimenti produttivi e 64mila addetti diretti – è leader per propensione all'innovazione, con un tasso cinque volte superiore alla media, e secondo produttore europeo dietro alla Germania. «Portiamo ogni anno a questo Paese 26 miliardi di ricchezza (di cui il 67% è export, ndr), 4,4 miliardi di salari, 1,4 miliardi di imposte dirette, siamo l'unico comparto manifatturiero, secondo Bankitalia, che dal 2007 a oggi non ha perso valore. Eppure dall'inizio della crisi al 2011 ci siamo dovuti far carico di 11 miliardi di oneri, e di altri 4 miliardi l'anno nel triennio successivo, per misure di spending review. Siamo rimasti un pilastro dell'economia nonostante le 44 manovre che ci hanno colpito e una spesa sanitaria del 26% inferiore alla media Ue. La nostra parte l'abbiamo già fatta», aggiunge il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi, per introdurre le richieste al sistema politico: un patto di stabilità triennale; incentivi all'innovazione; semplificazione degli iter autorizzativi; rispetto del marchio.
La richiesta di una prospettiva stabile di finanziamenti e programmazione è sposata dal presidente della Regione Emilia-Romagna, Vasco Errani, che torna a riproporre un «Patto per la salute». «Basta azioni difensive, serve un'azione straordinaria per lo sviluppo», tuona il numero uno di Confindustria Emilia-Romagna, Maurizio Marchesini, che con la sua azienda bolognese di packaging è un rappresentante di punta dell'indotto farmaceutico (che aggiunge 13,5 miliardi di valore prodotto, 60mila addetti e 512 milioni di investimenti ai numeri dell'industria del farmaco). «Il decreto del fare – aggiunge – è positivo lì dove prevede fondi agevolati per l'acquisto di attrezzature sul modello della Sabatini, ma i mesi di attesa dei decreti attuativi bloccano ulteriormente il mercato, un effetto paradosso».
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