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Questo articolo è stato pubblicato il 28 giugno 2013 alle ore 06:49.

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MILANO
Più efficienti, più vocate all'export, più forti e presenti nei mercati remoti. Tra i produttori italiani di macchinari per packaging esiste una relazione diretta tra queste variabili e la stazza aziendale, dove ogni indicatore migliora sensibilmente all'aumentare delle dimensioni. Ciò che pare "naturale" dal punto di vista intuitivo è ora corroborato dall'analisi puntuale del settore operata dal centro studi di Ucima (Unione costruttori macchine automatiche per confezionamento e imballaggio) che per la prima volta effettua una rilevazione organica ed esaustiva sull'andamento del settore scomponendo i dati per classe dimensionale.
Il comparto, forte in Italia di 635 aziende e oltre 26mila addetti, è arrivato lo scorso anno al record storico di ricavi, pari a 5,5 miliardi, soprattutto grazie alla forte crescita dell'export, che in media vale l'82,9% del fatturato. Quota che però si abbatte drasticamente a poco più del 50% per le aziende fino a 2,5 milioni di ricavi per poi crescere progressivamente all'aumentare della stazza aziendale, con il picco del 92,1% di export per le imprese con oltre 50 milioni di vendite. Anche la "gittata" delle commesse risente fortemente di questa variabile, con le realtà minori a realizzare in Europa quasi la metà dell'export mentre per i big la quota Ue scende al 29,9% per lasciare spazio ai mercati più remoti, Asia e Sud America in primis.
La classe dimensionale maggiore, che vale appena il 2,4% in termini numerici, ma che sviluppa più della metà dei ricavi del settore, presenta anche i maggiori indici di produttività, con ricavi per addetto pari a 283mila euro, esattamente il quadruplo rispetto alle aziende "bonsai" e il 50% in più nei confronti della media di categoria.
«Il senso di questi dati – spiega il presidente di Ucima Giuseppe Lesce – è evidente e deve spingere le aziende a riflettere sulle strategie. Il messaggio che vorrei dare a tutti, associati e non, è che dobbiamo aiutarci a crescere, a fare massa, a dare una prospettiva alle troppe imprese del settore di modeste dimensioni. Per queste realtà io sono sinceramente preoccupato: per chi ha un mercato che si estende nel raggio di poche centinaia di chilometri, in Italia o al massimo in Europa, io vedo un futuro a rischio».
Anche se il peso dell'export resta preponderante per il settore, l'analisi di Ucima rivaluta il peso del mercato interno, che seppure depresso negli ultimi anni arriva a valere poco meno di un miliardo di euro, il 17,1% dei ricavi totali, con una domanda alimentata in particolare dal settore food&beverage e dal sottoinsieme delle etichettatrici e marcatrici, dove le vendite nel mercato interno valgono un terzo del totale.
In termini settoriali, con poco meno di due miliardi di ricavi, sono le macchine per bevande le più "pesanti" della categoria, seguite a poca distanza dall'area food mentre è più distante il terzo posto del farmaceutico, forte di 941 milioni di fatturato.
Dal punto di vista geografico la leadership dell'Emilia-Romagna nel packaging è evidente, con la regione che ospita due terzi dei volumi produttivi e quasi il 40% delle aziende. Aggiungendo Lombardia e Veneto si arriva quasi al 90% dei ricavi globali.
I dati 2013 confermano il packaging italiano come un'oasi felice, con un export ancora in crescita del 6,4% grazie in particolare ad Asia e Sud America mentre gran parte dell'Europa ha innestato la retromarcia.
«Per fortuna l'export tiene – aggiunge Lesce – anche se in questa fase occorre essere presenti in più paesi perché i risultati non sono affatto omogenei. Dai dati delle importazioni, invece, continuiamo a vedere un mercato interno in calo, motivo in più per spingere le nostre aziende a guardare senza esitazioni ai mercati oltreconfine».
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