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Questo articolo è stato pubblicato il 05 luglio 2013 alle ore 15:57.

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Ecco perché la nostra manifattura può riuscire

Mercoledì a Mestre, agli industriali del Nord, lo ha ricordato Gary Pisano, l'economista di Harvard impegnato con la Casa Bianca nella reindustrializzazione degli Stati Uniti. L'ultima globalizzazione ha modificato radicalmente la dimensione della competizione. I Paesi emergenti hanno 1,1 miliardi di abitanti. Che sono, allo stesso tempo, lavoratori e consumatori. Dunque gli operai, i tecnici e gli ingegneri delle nostre fabbriche e dei nostri laboratori artigiani si misurano – per produttività e dinamica del costo del lavoro – con i colleghi stranieri. Ed è un raffronto (spesso perdente) che può determinare la scelta se allocare il capitale in Italia o altrove.

L'altra faccia della luna, però, è rappresentata dalle opportunità commerciali che la globalizzazione ha prodotto. Da questo punto di vista, la mappatura delle nuove "aree calde" dell'economia internazionale costituisce una bella sfida per il Made in Italy. Il Cile, la Malesia, il Messico, gli Emirati Arabi – per citare alcune di esse – hanno tratti comuni all'Italia degli anni Cinquanta e Sessanta. Il Boom fu caratterizzato da un doppio fenomeno: l'industrializzazione di una economia fino ad allora agricola e la formazione di una piccola e media borghesia il cui benessere – senza entrare nelle disquisizioni pasoliniane di "quella" modernizzazione – passava dai beni materiali.O

ggi l'Italia può dare agli altri quello che, cinquant'anni fa, diede a se stessa: oggetti per la casa, scarpe, vestiti, borsette. Più, naturalmente, i beni strumentali con cui le altre economie procedono nella loro industrializzazione. Attenzione, però. Per muoversi sulle nuove cartine dell'economia, vanno soddisfatte due condizioni. Prima di tutto occorre esistere. Non proprio scontato, data l'intensità della recessione. Quindi, soddisfatta la condizione del primum vivere, per radicarsi su mercati tanto lontani occorre allearsi, provando così a rimediare al deficit strutturale del nanismo dell'impresa italiana standard.

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