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Questo articolo è stato pubblicato il 06 luglio 2013 alle ore 08:39.

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PADOVA. Dal nostro inviato
Rivolta e riscossa. Due sentimenti opposti che coesistono tra gli industriali padovani, riuniti in un'assemblea annuale che si fatica a definire l'ultima della vecchia epoca o la prima della nuova. Uno spartiacque, questo è certo.
Il mondo è cambiato, l'Italia è in bilico, ma il Nordest che fu dei miracoli rispedisce al mittente l'orazione funebre che da più parti si leva nei confronti di un'area che malgrado i colpi durissimi assestati dalla crisi, continua a inanellare risultati di tutto rispetto.
Massimo Pavin, presidente di Unindustria Padova fortissimamente voluto in questo ruolo dal past president Mario Carraro, padre nobile dell'industria, usa parole cariche di pathos all'indirizzo del neo ministro Flavio Zanonato, ex sindaco di Padova, al quale è riservata una poltroncina in prima fila tra il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi e quello degli industriali veneti Roberto Zuccato: «Ministro Zanonato, le consegnamo le chiavi delle nostre aziende. Aiutateci a restare nel nostro Paese e a fare industria, ma fate presto. La nostra pazienza è finita».
Le parole di Massimo Pavin cadono come un fulmine tra i mille imprenditori stretti l'uno all'altro nella sala congressi intitolata a Papa Luciani. Applaudono, composti e misurati. È la compostezza proverbiale di questi imprenditori che lo stesso Pavin rimarca ripetutamente. Una compostezza che nelle assemblee territoriali preparatorie di quella generale, dice il presidente, non ha impedito l'emersione di un moto irrefrenabile di rivolta. Ma è, per l'appunto, un moto, una tentazione. Che svanisce di fronte all'autocritica che Pavin recita immediatamente dopo: «Smettiamola di prendercela con gli altri: l'Europa, la Merkel, la speculazione». E cita il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco: «Le riforme non possono essere sempre richieste a chi è altro da noi; tutti dobbiamo impegnarci: imprese, lavoratori, banche, istituzioni». Il messaggio è chiaro e forte: «Il futuro dipende innanzitutto da noi». Un passaggio che consente a Pavin di distribuire colpe e responsabilità. La prima riguarda gli imprenditori: «Dobbiamo nutrire una sana ossessione per l'innovazione, depositare più brevetti, elevare le nostre conoscenze, rivedere uno dopo l'altro i punti di forza del modello Nord-Est che si sono trasformati in punti di debolezza».
Il resto spetta agli altri. Il presidente di Unindustria Padova invoca uno shock fiscale: «Come ci si può salvare, far ripartire consumi e investimenti in un Paese dove l'azienda paga uno stipendio lordo di 3.200 euro e il lavoratore ne mette in tasca 1.200?». È la sempiterna questione del cuneo fiscale. Pavin esorta il governo a portare avanti quelle riforme radicali che ci si aspetta da una Grosse Koalition. E alla politica va un'altra stoccata sulla legge elettorale formulata con due imperativi: «Non ne possiamo più! Cambiate quella legge!».
I mille imprenditori si spellano le mani. La soluzione è semplice, apparentemente a portata di mano: meno spese, meno tasse. «E invece la spesa corrente è cresciuta di venti punti negli ultimi vent'anni. Cominciamo a ridurla di un punto l'anno, sarebbe un gran risultato», arringa Pavin.
Una serie di stimoli sui quali alla fine della relazione del presidente di Confindustria Padova si confrontano Antonio Gozzi di Fedaracciai («Non aspettiamoci miracoli dai poteri pubblici, tocca agli italiani e alle imprese rimboccarsi le maniche per uscire dalla crisi»); Gaetano Micciché di Banca Intesa («Tutti invocano il gioco di squadra, dobbiamo passare dalle parole ai fatti»); il professore di Economia della Cattolica Alberto Quadrio Curzio («Non soffochiamo le imprese, altrimenti tutti gli sforzi saranno vani»).
Esortazioni, suppliche, sollecitazioni. Pavin, da par suo, per acchiappare un refolo di ottimismo è costretto ad attraversare l'Atlantico e rileggersi il discorso del presidente americano Barack Obama all'indomani della riconferma alla Casa Bianca: «Il meglio deve ancora venire». Speriamo abbia ragione lui.
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