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Questo articolo è stato pubblicato il 09 luglio 2013 alle ore 15:56.

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(Corbis)(Corbis)

PECHINO - È rimasto in ombra, offuscato da ben altre notizie sull'andamento dell'economia cinese, un fenomeno strisciante: l'internazionalizzazione della "moneta del popolo", il renminbi. Una divisa non convertibile, controllata con pugno di ferro dall'autorità centrale, però ormai lanciata sui mercati internazionali grazie a una strategia partita almeno quattro anni fa. Per la precisione da quando, nel 2009, fu permesso in città pilota come Shanghai, Guangzhou, Shenzhen, Dongguan e Zhuhai di effettuare transazioni con partner commerciali a Hong Kong, Macao, Singapore e più in generale nei Paesi dell'Asean. Due anni dopo il programma fu esteso all'intera Cina.
Intanto il volume degli scambi con i Paesi Asean nel 2012 è stato di 400 miliardi di dollari e una quota consistente, anche se non meglio definita - c'è chi parla del 15% - è già realizzata, di fatto, in renminbi. Un giro di affari che, stando ai dati di Icbc, la più grande banca al mondo per capitalizzazione di borsa, cresce a vista d'occhio: l'aggregato cross-border l'anno scorso è stato di 2,94 trilioni di renminbi, oltre il 41% se paragonato al 2011, l'8,4% dell'import-export cinese totale.

A fine 2012 ben 206 Paesi potevano vantare transazioni e pagamenti effettuati in renminbi. Da gennaio a dicembre 2012, il volume totale è cresciuto del 171% e ora il renminbi è al 13° posto tra le valute scambiabili a livello internazionale. Esistono oggi circa una ventina di accordi currency swap del valore, in renminbi, di 2 trilioni. A gennaio un'iniziativa pilota a Yiwu, città dello Zhejiang famosa per il commercio all'ingrosso, per una nuova forma di apertura, l'individual rmb cross border settlement, una sorta di autorizzazione ad personam, per determinate realtà commerciali attive in quella zona estremamente dinamica, vero termometro dell'import-export cinese.

L'ultimo hub offshore in ordine di tempo a candidarsi è stata Toronto, la Cina è il secondo trading partner del Canada con 47,5 miliardi nel 2012. Sarebbe la prima piazza in Nordamerica, proprio ai confini degli Usa. Anche Parigi pensa al renminbi. Passo simile a quello fatto dalla Gran Bretagna, un accordo per una swap line triennale del valore massimo di 200 miliardi di yuan. La Francia è un buon partner della Cina, sempre alle spalle di Germania e Gran Bretagna, ma finora le mosse sono state bloccate dal fatto che a differenza di Londra la moneta di Parigi è l'euro.

È possibile che la Bce debba in qualche modo autorizzare il deal in un Paese così vicino al cuore dell'Europa, le istituzioni europee avrebbero delle remore sull'obiettivo di Pechino: creare zone ad hoc per l'utilizzo all'estero della valuta nazionale a supporto degli scambi commerciali. La Gran Bretagna, intanto, è stato il ventesimo Paese con cui Pechino ha appena raggiunto l'accordo per una swap line. Londra è stata a partire dal 18 aprile 2012 la prima piazza europea aperta al renminbi. Le banche centrali cinese e britannica hanno concordato sulla necessità di sostenere i business in yuan. Londra ha lanciato un piano molto ben per congegnato tanto che il giro di affari dei business nella moneta cinese è stato nel 2012 di 33,6 miliardi di renminbi, pari al 100% in più rispetto al 2011.

Non solo. La Borsa dei metalli londinese ha appena aperto anche al trading di futures denominati in renminbi. Anche questo è un debutto illuminante, data l'importanza delle materie prime per la Cina. Dopo il clearing su Singapore, simile a quello su Hong Kong e Londra, attuato da Icbc e sancito persino dall'apertura in Cina a fine maggio di un ufficio dell'autorità monetaria di Singapore, sono arrivate le richieste dall'Oceania di siglare accordi simili a quello in vigore con il Brasile in base al quale la moneta di Pechino viene liberamente scambiata a fronte di compravendita di merci o materie prime.

Il portavoce del premier della Nuova Zelanda ha annunciato il mese scorso l'avvio di negoziati preliminari con Pechino per lanciare il cambio diretto con il dollaro neozelandese per evitare il giro fastidioso dal renminbi al dollaro statunitense al dollaro neozelandese. Il che ridurrebbe i costi amministrativi per le aziende che operano negli scambi commerciali tra Nuova Zelanda e Cina, che nel 2013 ha sorpassato l'Australia come primo partner commerciale.

La Nuova Zelanda sta infatti seguendo l'Australia, che qualche settimana fa è entrata in un simile patto di direct exchange con la Cina. Attualmente le uniche valute che possono scambiare direttamente con il renminbi sono il dollaro Usa, lo yen, il dollaro australiano.

La pietra miliare sono i rapporti con Londra, che vanno a gonfie vele. Il settore privato dialoga sul mercato del renminbi di Hong Kong e cinese. Coltiva il mercato dei dim sum, i bond denominati in renminbi. Aiuta i ricchi cinesi a investire oltreconfine. Ammortizza i rischi di fluttuazioni delle valute. Cosa si potrebbe chiedere di più?

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